È già partita la corsa a capire quanta liquidità fornirà ai mercati il prossimo 29 febbraio. In quella data la Banca centrale europea (Bce) lancerà una nuova operazione di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, o Ltro). Per le banche italiane tornerà la corsa a cercare liquidità a basso costo, con durata triennale. E vi parteciperà anche Mediobanca, fra le altre, come UniCredit, che lo hanno anticipato. Lo stress nel mercato interbancario europeo è ancora elevato, complice la Grecia, e per gli istituti di credito italiani il compito più difficile sarà dirottare il denaro alle imprese.
Nell’edizione di dicembre le aspettative sono state ampiamente superate. 489 miliardi di euro per 523 banche europee, grandi o piccole. In pochi avrebbero immaginato che le banche europee avrebbero richiesto così tanta liquidità. Fra queste, le italiane sono state fra le più attive, con richieste di apertura di finestre di liquidità per 116 miliardi di euro. In effetti, sono occasioni ghiotte: dietro al deposito di titoli collaterali a garanzia, la Bce garantisce di aprire linee di credito con un tasso d’interesse all’1% per le banche che hanno i requisiti minimi domandati.
Le banche italiane stanno mettendo a posto gli ultimi dettagli per il prossimo Ltro. Le big, chi in modo formale, chi in via informale, hanno tutte confermato la loro presenza. Ma colpisce che abbia indicato la propria partecipazione anche Mediobanca. «Sebbene i rendimenti dei titoli di Stato italiano, su tutti i punti della curva, abbiano registrato sensibili miglioramenti, è chiaro che lo scenario di medio-lungo termine rimane incerto», spiegano gli analisti di J.P. Morgan. Lo stesso concetto è stato espresso mediamente dalla maggior parte delle banche d’investimento nelle loro analisi sul prossimo Ltro. «Anche in questo caso le banche italiane saranno fra le più attive, perché hanno evidenti problemi nell’interbancario», continua J.P. Morgan nella nota.
Sull’ammontare dell’operazione, invece, si stanno rincorrendo le ipotesi. Il presidente della Bce, Mario Draghi, durante l’ultima riunione del consiglio direttivo ha affermato che le sue attese sono per un Ltro dello stesso tenore di quello di dicembre. Eppure, la banca svizzera UBS ha predetto che il totale della finestra di liquidità potrà essere molto più elevato. Non solo. Nelle sale operative, italiane soprattutto, si parla di 1.000 miliardi di euro di ammontare.
Di contro, la Bce ha già messo in campo il possibile. Lo scorso 9 febbraio ha allargato le maglie dei requisiti minimi degli collaterali accettati per le varie operazioni. Vale a dire che alle banche europee verrà richiesto uno sforzo minore rispetto alla precedente operazione. E dire che già a dicembre gli istituti di credito italiani avevano avuto la possibilità di ottenere una garanzia statale «incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta». La corsa verso questo stratagemma era stata quasi spasmodica, ma aveva dato i suoi frutti. I soldi sono serviti, come prevedibile, alle esigenze di rifinanziamento dello stock di debito italiano presenti nei portafogli delle banche italiane. Ma il compito per il secondo round dovrà essere differente. «Speriamo che la liquidità possa finire in circolo per evitare il peggioramento del credit crunch in Italia», spiega a Linkiesta un funzionario dell’Eurotower. «Gli sforzi della Bce sono elevati e si spera che possa esserci un riscontro anche per l’economia reale», continua. Più o meno, quindi, ciò che ha detto il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.
Tramite queste due operazioni la Banca centrale europea sta cercando di traghettare l’eurozona verso lidi più sicuri. Le incognite sul cammino sono però elevate. Il mercato interbancario rimane sotto stress e l’unica ancora di salvezza per le banche è proprio la Bce. «Il settore dei repurchase agreement (pronti contro termine, o repo) continua a essere messo alla prova dalla sfiducia degli operatori», spiega ICAP, il principale interdealer broker mondiale, in una nota di inizio settimana. Nonostante l’accordo sulla Grecia sia arrivato, ICAP sottolinea che «i problemi restano». Colpa della poco delineata situazione in cui si troverà Atene nel caso di una bancarotta selettiva, come è probabile che accada.
Eppure, un motivo per essere ottimisti c’è. I fondi statunitensi del mercato monetario (Money markets fund, o Mmf) hanno ricominciato a fornire liquidità all’eurozona. Lo ha spiegato l’agenzia di rating Fitch nel suo consueto report mensile. Si tratta di un piccolo passaggio, ma che potrebbe essere l’inizio di un trend positivo. Come successo nello scorso aprile, quando iniziò il drenaggio della liquidità dall’eurozona da parte dei Mmf americani che portò alla crisi del mercato interbancario Ue, è possibile che qualche segnale di speranza ci sia. Peccato che sia troppo piccolo rispetto ai problemi dell’eurozona.