Negli ultimi tempi il rial iraniano è caduto ai minimi di sempre contro il dollaro: il suo valore si è dimezzato nel giro di pochi mesi e la sua discesa è diventata più veloce nelle ultime settimane. Questo ha provocato una corsa agli sportelli che ha costretto le autorità ad intervenire per tenere le folle lontane dalle banche e per dissuadere dal cambiare il rial in dollari al di fuori del mercato ufficiale, dove i prezzi non sono controllati: è qui infatti che la moneta iraniana rivela il proprio reale valore di scambio, non sulle tabelle preparate dal Ministero dellʼeconomia, che obbliga ad applicare un cambio ridicolmente basso.
Le misure per fermare la deriva sono state le più varie: si è iniziato chiudendo i siti che riportavano il cambio in tempo reale, per poi filtrare tutti gli sms contenenti la parola “dollar”. Dal 16 gennaio se si viene trovati in possesso di moneta estera senza una regolare ricevuta da parte di una banca, si rischia lʼarresto per contrabbando e il pagamento di una multa pari al doppio dellʼimporto posseduto. Ma questi provvedimenti non sono stati nemmeno utili a prendere tempo. Mentre a metà gennaio il governo si rifiutava di correggere il tasso di cambio ufficiale, la borsa di Tehran (che in questi anni in controtendenza rispetto alle borse occidentali ha goduto di ottima salute) cadeva bruscamente. Lʼinflazione, che a dicembre ha raggiunto il livello record del 40%, potrebbe essere stata ancora più grave nel corso del mese di gennaio, a giudicare dagli aumenti nel settore degli alimentari riportati da alcuni quotidiani nazionali.
Dopo settimane di attesa, il 25 gennaio il presidente Ahmadinejad ha dato il via libera ad una richiesta della Banca centrale di aumentare i tassi di interesse ufficiali sui conti correnti (quelli che in Iran vengono chiamati “tassi di profitto delle banche”) dal 12,5% al 21%: con lʼaumentare dellʼinflazione, che nel biennio 2010-2011 era stata mediamente del 21% (secondo le stime ufficiali, che tradizionalmente forniscono dati al ribasso), gli iraniani avevano cercato di proteggere i propri risparmi investendoli in altre attività liquide, come valuta estera e oro. La mossa ha dato lʼeffetto auspicato, facendo diminuire sensibilmente il valore dellʼoro e del dollaro e dimostrando che i conti corrente sono un sostituto valido e appetibile per gli iraniani. Alzare i tassi di interesse al di sopra dellʼinflazione attesa favorisce la fiducia dei cittadini nelle banche e nel proprio potere dʼacquisto, aiutando lʼeconomia interna. Sarebbe utile per lʼeconomia iraniana lasciare le banche libere di fissare i tassi che ritengono opportuni, invece che lasciarli decidere dal governo, ma una decisione simile sembra ancora lontana, dal momento che molti membri del regime fanno parte dellʼestablishment finanziario e preferiscono costringere i cittadini a perdere potere dʼacquisto a loro vantaggio.
Non è solo il tasso di interesse sui conti correnti a essere deciso dal governo, ma anche il tasso di cambio. Nel mercato formale, quello delle banche iraniane e dei sarrafì, è possibile cambiare il rial in valuta estera solo a fronte di alcune comprovate giustificazioni. Questo significa che sono in pochi ad avere accesso a questo mercato. In questo modo il governo tiene sotto stretto controllo la propria riserva di dollari, che ammonta a circa 100 miliardi. A fine dicembre le sanzioni contro la Banca centrale iraniana, inflitte prima dagli Stati Uniti e in gennaio dallʼUnione Europea, hanno reso il sistema bancario iraniano incapace di garantire i trasferimenti dallʼestero e verso lʼestero. Questo ha contribuito al veloce rafforzarsi del mercato nero per la conversione della moneta. Questo è un mercato piccolo, motivo per cui può fluttuare molto rapidamente.
A fronte dellʼimpossibilità di utilizzare il rial negli scambi con lʼestero, la sua utilità è scesa, cosicché molti hanno preferito cambiare moneta iraniana con dollari. Una scelta giustificata anche dai timori causati dallʼinflazione rampante. Purtroppo lʼofferta della valuta americana sul mercato nero non è stata in grado di controbilanciare la grande domanda, facendo sì che il prezzo si impennasse e seminando il panico. La gravità della situazione attuale ha richiesto alcuni compromessi, così pochi giorni fa la Banca centrale ha deciso di alzare gradualmente il tasso di cambio dollaro-rial. Per quanto la direzione sia quella giusta, i rialzi non sono sufficienti a calmare il mercato: oggi sul mercato informale un dollaro viene scambiato per 23-24 mila rial, mentre gli sportelli ufficiali applicano il cambio di stato pari ad appena 12.260 rial, ovvero la metà.
Il fatto che lʼeconomia iraniana sia basata soprattutto sullʼesportazione di idrocarburi influenza fortemente il cambio. Tuttavia lʼexport difficilmente può essere pianificato in ragione di queste esigenze, così è accaduto che lʼaumento delle importazioni nellʼultimo decennio ha tenuto artificiosamente alto il tasso di cambio, nonostante il paese dal 2007 viva un periodo caratterizzato da alta inflazione: questo ha reso progressivamente più convenienti i prodotti esteri, distruggendo alcuni settori dellʼeconomia locale, in primis quelli più esposti alla concorrenza dei prodotti asiatici.
In questo quadro intervengono le sanzioni che, indebolendo il rial, aiutano il ristabilirsi di un migliore equilibrio con le valute estere. Così le sanzioni da un lato favoriscono lʼeconomia locale spingendo lʼexport di prodotti iraniani verso i paesi non aderenti alle sanzioni, un effetto di certo non desiderato dallʼEuropa e dallʼAmerica. Dʼaltro canto i produttori di beni intermedi si troveranno a fare i conti coi prezzi più alti delle materie prime importate. Non possiamo ancora dire con certezza quale di questi due effetti prevarrà nel lungo periodo, ma di certo lʼincubo di una corsa agli sportelli è una minaccia alla sopravvivenza del regime molto più seria di un eventuale bombardamento alle centrali nucleari.