BARI – Soldi, tanti soldi. Arrivano dall’Unione europea e servono per portare il gas nel Vecchio continente dall’Azerbaijan per allentare entro il 2020 la quota di energia prodotta dal petrolio, ma soprattutto la dipendenza energetica da paesi ritenuti politicamente instabili come Russia e Iran. I giacimenti sono nel bacino offshore di Shah Deniz a 70 chilometri dalla capitale azera Baku, una delle più grandi scoperte dell’ultimo decennio nel settore degli idrocarburi che, entro il 2018, dovrebbe arrivare a quota 16 miliardi di metri cubi di produzione annuale. Qui, nelle acque del Mar Caspio, c’è la gran parte dei colossi dell’energia mondiale pronta a far affari col pianeta e ora a portare un gasdotto anche in Europa.
Il 25,5% è in mano al gigante britannico British Petroleum (BP), un altro 25,5% è della norvegese StatoilHydro, ex compagnia di stato privatizzata nel 2007 dopo la fusione con la Norsk Hydro. In più, con quote del 10%, ci sono la società nazionale azera Socar, la russa Lukoil, la francese Total e l’iraniana Nico, mentre il restante 9% è in mano alla turca Tpao. Per portare il metanodotto ai clienti europei assetati di gas, i soci dello Shah Deniz 2 (seconda fase di produzione) devono scegliere un tracciato e dire sì ad uno dei quattro progetti in gara: o attraversando il cosiddetto “Corridoio Sud” nel Mediterraneo e arrivando fino in Puglia, quindi scegliendo uno tra i concorrenti Interconnessione Turchia-Grecia-Italia (Itgi) e Trans Adriatic Pipeline (Tap), oppure percorrendo quasi tutta l’Europa centrale, passando dai Balcani e approdando fino in Austria, col via libera ad uno tra South East Europe Pipeline (Seep) e Nabucco Gas Pipeline International GmbH (Nabucco).
Ma, come confermato proprio da BP a Dow Jones Newswires giorni fa, se verrà scelta la via Sud, il gasdotto sarà il Tap, ovvero quello a cui avrebbero fatto riferimento Gianpaolo Tarantini e l’imprenditore Roberto De Santis (vicino a Massimo D’Alema) nelle conversazioni telefoniche e ambientali registrate dalla procura di Bari nell’ambito dell’inchiesta sul giro di escort nelle residenze romane di Silvio Berlusconi e che, nel 2009, sarebbe rientrato nell’orbita di Valter Lavitola con mire in Albania. Il concept del progetto è della società energetica svizzera Elektrizitäts Gesellschaft Laufenburg (Egl) che ora ha il 42,5% del consorzio, dal 2008 allargato alla Statoil (42,5%) e dal 2010 anche al gigante tedesco E.On (15%), nato nello stesso anno dalla fusione dei colossi Veba e Viag. Stando alle loro stime, sarà lungo 791 chilometri, partirà dalla frontiera greco-turca di Komotini, passando dall’Albania e arrivando in Italia con l’apertura di un “rubinetto” dinanzi alle coste tra San Foca e Torre Specchia a Melendugno, nel Leccese (478 in Grecia, 204 in Albania, 105 nel tratto offshore del mar Adriatico, 4 in Italia), e non più ad Otranto come previsto dal progetto iniziale. Dovrebbe partire nel 2015 e farà confluire circa 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas nelle rete nazionale gestita da Snam Rete Gas.
E che c’entrano le indagini sulle escort Tarantini-Berlusconi col gas dell’Azerbaijan? Lo spiega un’informativa della Finanza di Bari, acquisita agli atti dell’inchiesta dai sostituti procuratori Giuseppe Scelsi, Eugenia Pontassuglia e Ciro Angelillis. Tarantini, secondo l’accusa, non avrebbe puntato soltanto a stringere affari con Finmeccanica e ad inserirsi in 12 appalti della controllata Sel Proc da oltre 51 milioni di euro (mai conclusi), ma si sarebbe interessato anche di energia. Stando a quanto messo a verbale dagli investigatori, Gianpi l’avrebbe fatto parlando al telefono con l’amico-imprenditore De Santis nei primi mesi del 2009, quando «nelle more che il progetto di Finmeccanica-Protezione Civile prendesse forma, Tarantini discuteva con Roberto De Santis circa l’opportunità di far intervenire Berlusconi per sostenere la realizzazione di un progetto non meglio specificato nel settore dell’energia, probabilmente un gasdotto dall’Albania all’Italia».
Secondo quanto emerge dagli atti, sarebbe stato proprio l’ex “re delle protesi” a farsi “carico di illustrare il progetto” all’ex presidente del Consiglio con la proposta di “coinvolgerlo personalmente nell’impresa”. L’incontro con Berlusconi sarebbe avvenuto l’11 febbraio 2009 e nello stesso giorno i finanzieri registrano una conversazione tra De Santis e Tarantini con riferimenti agli iter progettuali in Regione Puglia:
De Santis: «allora…la Puglia». Tarantini: «vabbè dà solo un’autorizzazione» De Santis: «no, ne ha date due già, c’è un tubo che sbarca dalla Grecia ad Otranto, ed è di Edison, un altro tubo che sbarca dall’Albania a Brindisi» Tarantini: «che è tuo» De Santis: «che è quello su cui stavo lavorando io, rispetto al quale la Regione ha già dato sia per l’uno che per l’altro…omissis…mi stai sentendo?…oltre a questo non ne da altri, è chiaro? Presso il Ministero dell’Industria è già istruita questa pratica perché…c’è tutto pronto bisogna soltanto firmare l’intesa tra Albania e Italia» Tarantini: «e non ci vuole niente, quello posso farlo io» De Santis: «No è già pronta» Tarantini: «quindi non devo fare niente io?» De Santis «allora il punto qual è…un altro di questi crea solo problemi».
Un affare da circa 1,5 miliardi di euro che viene dichiarato ufficialmente di interesse prioritario da Italia e Albania nell’accordo intergovernativo per la cooperazione nei campi dell’elettricità e del gas firmato solo un mese dopo a Tirana dal ministro dell’Energia albanese, Geng Ruli e dal titolare del ministero dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola. Un’intesa che fa decollare le autorizzazioni dopo i sì acquisiti nel 2006 dall’Ue sullo studio di fattibilità e sul basic engineering, ma che non a caso viene in qualche modo “preannunciata” nei colloqui registrati tra il 2008 e il 2009 dai pm baresi tra De Santis e Tarantini in cui, tra le altre cose, spunterebbe lo stesso Scajola: Tarantini «Vabbè, ne posso parlare io? Mi autorizzi?» De Santis «c’è già l’intesa con la Puglia…la società capogruppo di quasta…si chiama TAP ed è (incomprensibile) tra cui quella…» Tarantini: «scusa ma perché tu non mi fai uno schema come mi ha fatto Enrico quando gli parlai del fatto di Finmeccanica? Cinque righe…si ma tu mi fai il tutto..cinque righe come mi fece Enrico (Intini, titolare della Sma, ndr) …cinque righe…glielo do…questo…(incomprensibile)…il Ministro dell’Industria, chi è?…Sacconi……Scajola, ho fatto due viaggi in aereo con quello…un uomo suo, si mette a pecora quello…quello gli dice buttati da sopra a giù e quello si butta».
Nella guerra del gas sul fronte Sud, BP ha scartato così quello che De Santis chiama il «tubo che sbarca dalla Grecia ad Otranto», ovvero l’Itgi da circa 2 miliardi di euro promosso dalla Edison (controllata dalla francese Électricité de France, Edf), insieme alla società energetica greca Depa, in collaborazione con la turca Botas, ma sostenuto soprattutto dai governi di Roma e Atene secondo un accorto intergovernativo firmato nel luglio 2007 quando a capo del ministero dello Sviluppo economico c’era Pier Luigi Bersani. Col Turchia-Grecia già completato, qui ad essere esclusa è l’ultima bretella adriatica, il cosiddetto gasdotto “Igi” di Poseidon SA, 800 chilometri di tubi (600 in terra greca, 200 nel tratto marino fino alla costa pugliese) che avrebbero dovuto trasportare circa 9 miliardi di metri cubi di gas all’anno, bypassando l’Albania e giungendo ad Otranto, in un’area peraltro già attraversata da un elettrodotto italo-ellenico. Secondo alcune ipotesi, viene tagliato fuori per la crisi economica e finanziaria in entrambe le sponde e da alcune valutazioni tecniche sul progetto.
La “guerra del gas” dovrebbe essere chiusa a luglio 2012, ma potrebbe slittare a metà 2013 secondo quanto dichiarato negli ultimi giorni dal gruppo austriaco Omw che gioca la partita dei gasdotti a Nord partecipando per il 16,7% al progetto Nabucco insieme ai bulgari Beh, gli ungheresi Fgsz, i tedeschi Rwe e i romeni Transgaz. Qui i giochi sembrano però tutti a favore del concorrente Seep, spuntato solo a settembre scorso, ma su iniziativa della stessa proprietaria del giacimento azero, BP, su una rete di gasdotti già esistenti nell’area, lungo circa 800 chilometri e senza ramificazioni in altre zone asiatiche più lontane. Nabucco è il più lungo e quindi più costoso di tutti (dai 10 ai 14 miliardi di euro per circa 3900 chilometri di tubi), anche se ha una capacità stimata di 15-17 miliardi di metri cubi annui e potrebbe portare i tubi fino in Turkmenistan.
Il Tap intanto sta lavorando nei mari di San Foca dal 24 gennaio scorso tramite l’appaltatrice D’Appolonia di Genova. Le attività consistono nel prelievo di campioni fino a 20 metri di profondità e, a seconda delle condizioni meteo, dovrebbero concludersi entro marzo prossimo quando al ministero dell’Ambiente sarà inviata la relativa Valutazione di impatto ambientale e sociale (Esia). Intanto fino al 30 aprile è scattato lo stop a pesca e balneazione. E come in Val di Susa, anche qui bisogna fare i conti con le comunità locali riunite in un comitato “No Tap” che ritiene l’opera «un altro inutile e gigantesco scempio ambientale che andrebbe a compromettere territorio, paesaggio, salute e incolumità dei cittadini» e che, al limite, vorrebbe dirottarla a Brindisi, in una zona cioè già industrializzata dalle centrali EdiPower Brindisi Nord e Enel “Federico II” di Cerano.
Se scelto da Shah Deniz 2, il tracciato interesserà il territorio di sei Comuni, tra cui pure Lizzanello, Cavallino, Castrì, San Donato e Vernole. Le associazioni ambientaliste continuano a ribadire la propria contrarietà al progetto e lo hanno fatto pure durante un incontro pubblico organizzato il 16 febbraio scorso a Melendugno dai dirigenti di Tap Italia. È servito a poco, se non a ricordare che l’impianto si farà fra tre anni e con un percorso su terraferma che per l’azienda sarebbe stato ridotto a poco più di 4 chilometri rispetto ai 22 iniziali e, secondo il fronte del “no”, sarebbe invece solo “oscurato” tramite presunte cessioni di pipeline alla Snam. Lo sapranno forse pure Tarantini e De Santis?