Nel marzo 2008 in un incontro politico nel New Hampshire durante le infuocate primarie democratiche in cui i duellanti si chiamavano Hillary Clinton e Barack Obama, dalla platea si levò un urlo “Iron my t-shirt! Iron my t-shirt!” (Torna a stirare la mia maglietta!). La frase, nella sua brutale banalità, era diretta a Hillary Clinton che da un palco con il microfono in mano parlava al suo elettorato. Senza scomporsi, l’allora candidata alle primarie, rispose così, “noto che i rimasugli del sessismo sono alive and well”, vivi e vegeti. Seguì l’applauso del pubblico non pagante. Questo piccolo aneddoto è buono a raccontare una delle mille contraddizioni americane.
Nonostante gli Usa siano la patria del femminismo (la prima convention mondiale sui diritti delle donne si tenne nel 1848 a Seneca Falls nello Stato di New York) ma anche del post femminismo e della “third – wave feminism” di Rebecca Walter, nonostante la creazione di un simbolismo nato proprio in America di cui l’Europa sessantottina si innamorò subito (indimenticabili i reggiseni buttati all’aria e bruciati a Central Park) e di tanta letteratura (la bibbia da tenere in borsa era “The Feminine mystique” scritto nei primi anni Sessanta da Betty Friedan), la strada per la parità dei diritti e l’abolizione di ogni discriminazione tra uomo e donna è ancora lunga e intrappolata in una lotta tra ideologie.
Da tempo il Gop, il Grand Old Party, ha intrapreso un percorso più aggressivo del solito sui temi sociali come aborto, maternità e contraccezione che per molti analisti politici è ancora tutto da decifrare. I media americani parlano di una “guerra dei repubblicani contro le donne”. Il termine è forse ad uso e consumo dello spin mediatico ma molte associazioni americane di stampo liberal hanno lanciato l’allarme. E non solo loro. La scorsa settimana il Senato americano ha bocciato l’emendamento presentato dai repubblicani che avrebbe consentito ai datori di lavoro e alle assicurazioni di negare “per ragioni morali e religiose” la copertura sanitaria per la contraccezione. Il giorno precedente alla votazione la senatrice repubblicana Olympia Snowe annuncia che non si candiderà alle prossime elezioni di medio termine del novembre 2013, rompe – definitivamente – con la linea dura e pura del suo partito e vota no all’emendamento. Il Gop ha perso così l’ultimo bastione moderato, la senatrice del Maine che alla stampa ha dichiarato che «le motivazioni di questa decisione vanno ben oltre il voto sulla contraccezione» e riguardano l’eccessiva polarizzazione della dialettica politica.
Ma la storia non finisce qui. La bocciatura dell’emendamento fa andare su tutte le furie Rush Limbaugh, il presentatore radiofonico della destra conservatrice. In diretta Limbaugh dà della prostituta (ha usato i termini slut e prostitute) a una studentessa dell’università di Georgetown che aveva testimoniato in un’audizione davanti alla commissione del Senato a favore della contraccezione. Se non fosse stata per l’eclatante telefonata che il Presidente Barack Obama ha fatto alla ragazza in segno di sostegno e in seguito a un pesante pressing mediatico, Limbaugh probabilmente non avrebbe mai presentato le sue scuse. Scuse che sono giunte giorni dopo il fattaccio.
Ma nella “guerra” dei repubblicani contro le donne, l’emendamento sulla contraccezione è solo la punta dell’iceberg. Passando in rassegna alcune proposte di legge statali (alcune pendenti altre in discussione) in materia di aborto e maternità il quadro si fa più chiaro. È il caso di dire, anche più amaro. Cominciamo con l’Ohio. Il senatore Josh Mandel ha proposto una serie di leggi che vanno sotto il nome di “the heartbeat bill” che vieterebbero l’aborto nel caso in cui il battito cardiaco venisse intercettato. Questo può facilmente verificarsi già alla quinta settimana e non sono previste esclusioni neanche in caso di stupro, incesto e pericolo per la vita della madre. In America l’aborto legale è permesso fino alla nona settimana come stabilito dalla sentenza Roe vs Wade del 1973. Se il senato dell’Ohio dovesse approvare la legge in questione (la Camera l’ha già fatto) questa vittoria rappresenterebbe una grave sconfitta per le donne, prima di tutto, ma anche per gli uomini. Passiamo alla Georgia. Il deputato repubblicano Bobby Franklin ha proposto nel novembre scorso una legge per sostituire il termine “vittima” nei reati di stupro, stalking e violenza domestica con il termine “accusa”. «Nel caso di rapina, furto o frode la vittima rimane vittima» hanno spiegato dal Democratic Legislative Campaign Committee «mentre se vieni picchiata da un famigliare o violentata non lo sei più e diventi l’accusa». C’è anche il Texas. Un mese fa nello stato della stella solitaria è stata approvata una legge che più che limitare la libertà di scelta delle donne sull’aborto. «Ci umilia» hanno detto un gruppo di intervistate dal canale Msnbc. La legge obbliga i dottori a eseguire un sonogramma 24 ore prima dell’aborto, mostrare le immagini del feto alla paziente e farle sentire il battito cardiaco. La donna può decidere di non vedere e non ascoltare, in questo caso il medico è obbligato a descrivere oralmente il risultato del sonogramma.
Per concludere, a fine febbraio, in Virginia, è stata approvata una legge che obbliga le donne in procinto di abortire a sottoporsi a un esame ultrasuono lasciandole libera di scegliere se guardare o meno il risultato finale. All’ultimo momento, prima dell’approvazione di questa legge che è già in vigore in sette stati americani (Alabama, Arizona, Florida, Louisiana, North Carolina, Oklahoma e Mississippi) l’ultrasuono vaginale è stato sostituito con quello tradizionale addominale perché ritenuto troppo invasivo anche dai repubblicani che lo avevano inizialmente proposto.
Queste leggi trovano un solido sostegno nell’associazionismo conservatore. Tantissime le organizzazioni di donne repubblicane che lottano perché vengano approvate il prima possibile; alcune conducono battaglie decisamente ridicole, come quella della Clare Boothe Luce Policy Institute che voleva reintegrare la dote, altre si concentrano sulla censura di libri o testi teatrali ritenuti pornografici come i Monologhi della vagina «da vietare assolutamente nei campus universitari» dicono dal Independent Women Forum.
Gli analisti politici americani cercano di dare una spiegazione razionale alla deriva anti-femminista del Gop che rischia, così, di perdere definitivamente il voto delle donne alle prossime elezioni generali e di fare un gran bel regalo al partito democratico che, come era prevedibile, ne approfitta. Il comitato per la campagna dei democratici ha annunciato alcuni giorni fa di aver raccolto oltre un milione di dollari grazie a “War on Women”, una campagna lanciata il 23 febbraio scorso in risposta «agli attacchi violenti contro le donne perpetuati dai repubblicani» ha detto Nancy Pelosi, ex speaker della Camera. «Probabilmente la strategia del Gop risulterà vincente in qualche Stato soprattutto del Sud» scrive il New York Times «ma per tutti gli altri è perdente». Dubbiosi, incerti e un po’ sconcertati i media continuano a interrogarsi. Sul Huffington Post un editorialista ha proposto la sua interpretazione della insensata “war against women”. Citando la sapienza degli antichi latini ha scritto: quem deus perdere vult, dementat prius, colui che Dio vuole perdere, prima lo fa uscire di senno.