Mentre alla Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti riceve il premier israeliano, a Tehran si completa lo spoglio delle schede. I dati ufficiali fanno emergere dalle urne un plebiscito contro il presidente in carica Ahmadinejad, che vede l’inizio del tramonto della propria carriera politica. Ma sarà davvero così?
Il regime non è nuovo ai brogli, che perpetua sfacciatamente ad ogni elezione. Il ministro degli interni iraniano ha dichiarato che la partecipazione è stata del 65 per cento. Contestualmente ha detto che gli aventi diritto al voto sono 48 milioni 288mila 799 e che hanno votato 26 milioni 472mila 760 persone, ma facendo i calcoli si tratta del 55 per cento, un dato comunque gonfiato. La partecipazione a Tehran è stata data ufficialmente al 48 per cento, nonostante reporter italiani avessero visto seggi completamente vuoti: nel caso della capitale si è trovato un escamotage diminuendo di circa 2 milioni 600 mila il numero degli aventi diritto.
Dopo aver annunciato che non avrebbe votato per protesta, al contrario, l’ex-presidente riformista Khatamì si è recato ai seggi scatenando la rabbia dei suoi sostenitori. Un suo amico spiega su Facebook «oggi gli ho parlato a lungo, vedrete che presto spiegherà pubblicamente le sue motivazioni; mi ha raccontato di aver scritto sul foglio elettorale Viva la repubblica islamica». Un amico di Tehran, architetto e fotografo, mi racconta: «Khatamì si era già screditato ai nostri occhi durante l’assalto ai dormitori dell’università nel 1999, quando aveva appoggiato la repressione delle proteste, ma era comunque guardato con stima da chi sperava in un cambiamento». Anche un altro ex-presidente, il ricco Rafsanjanì, ha votato dichiarando alla stampa «a dio piacendo il risultato sarà quello voluto dal popolo».
Non si deve fare l’errore di pensare che le elezioni siano una messinscena priva di significato, anzi, sono una cartina di tornasole delle intenzioni del regime. Per quanto i dati siano truccati, il Majles – Assemblea Consultiva Islamica – ricopre un ruolo politico di primo piano nel sistema di potere iraniano e il leader supremo Khameneì mette in atto ogni sforzo per controllarlo. Stavolta ha messo in chiaro che non tollererà più presidenti che mettono in discussione il suo ruolo. Ahmadinejad è stato umiliato pubblicamente: a queste elezioni non è passata nemmeno la sorella Parvin, che si candidava nel “feudo” di famiglia e veniva data per vincente. «Abbiamo le prove che nella mia sezione ci sono stati brogli elettorali, presenterò certamente ricorso!» si lamenta Parvin, e il mio amico architetto commenta lapidario: «Chi la fa l’aspetti!».
I risultati delle elezioni iraniane, suddivisione per seggi
Nessun partito ha preso la maggioranza assoluta, ma entrambi i partiti di maggioranza relativa della coalizione conservatrice sono particolarmente vicini al Leader Supremo e insieme raggiungono il 75 per cento. Sebbene la linea politica sfoggiata sia ostile ad Ahmadinejad, i due partiti vincitori accolgono anche politici a lui vicini. Probabilmente il presidente verrà accompagnato gentilmente verso la scadenza naturale del suo mandato, nel 2013, senza grandi scossoni. Ma non aspettiamoci cambi di rotta sullo sviluppo delle tecnologie nucleari.
È triste il destino dei presidenti iraniani: a partire dal ricco Rafsanjanì (presidente dal 1989 al 1997), passando dal riformista Khatamì (dal 1997 al 2005) e terminando con Ahmadinejad (dal 2005 al 2013), dopo la loro presidenza si sono tutti visti condannare ai margini della vita politica dal leader supremo Khameneì. Tutti e tre, per motivi apparentemente diversi, si sono trovati a fare i conti con veti ai propri progetti, la chiusura dei propri giornali e l’arresto di sostenitori amici e familiari per volere di Khameneì, la guida suprema succeduta a Khomeinì, al potere dal 1989.
Ma può darsi che il carattere battagliero di Ahmadinejad potrebbe fargli rifiutare il proprio destino. Manca ancora un anno alle elezioni presidenziali del 2013 e la sfida con il leader supremo per far eleggere un proprio delfino resta aperta. Prima di quella data l’Iran potrebbe venire attaccato da Israele e a quel punto, chissà come si rimescoleranno le carte? Come disse una volta un freddo consigliere politico statunitense: «Il Medio oriente è come un caleidoscopio. Ci guardi dentro e non vedi niente di speciale. Lo scuoti, e vedi qualcosa di molto più bello».