Alla vigilia del voto, l’unica opposizione contro Putin è il web

Alla vigilia del voto, l’unica opposizione contro Putin è il web

Alle elezioni per la Duma dello scorso dicembre le autorità russe ci hanno provato: forum online sequestrati dalla polizia o indotti all’auto-censura tramite intimidazioni, massicci attacchi DDoS (distributed denial-of-service) per impedire temporaneamente l’accesso a stazioni radio e siti di informazione indipendenti, arresti di blogger e giornalisti scomodi.

Ma non è bastato a impedire che decine di migliaia di protestanti scendessero in piazza coordinandosi grazie alla Rete. E se anche la stretta repressiva online dovesse ripresentarsi in occasione delle presidenziali di domani, difficilmente avrà successo. Perché, rivela uno studio appena pubblicato dal Berkman Center for Internet & Society dell’Università di Harvard intitolato “Exploring Russian Cyberspace”. Il web in Russia è più libero di quanto pensiamo. E la sua comunità di blogger, attivisti e semplici cittadini è la vera spina nel fianco della costruzione del consenso di Vladimir Putin, che si appresta a ricevere l’investitura per un terzo mandato da presidente.

Analizzando per tre anni la composizione della blogosfera russa, gli argomenti di discussione su Twitter e il volume di traffico che hanno generato, ma anche interpellando direttamente i blogger e aiutandosi con i dati già disponibili, i ricercatori del gruppo di Harvard hanno scoperto un ecosistema vitale e capace di fornire un’agenda radicalmente alternativa alle fonti di informazione tradizionali, ben più saldamente ancorati ai diktat del Cremlino. È grazie a questo ecosistema che i russi hanno potuto informarsi sulla diffusa trama di brogli per le scorse elezioni parlamentari, approfondire le notizie sulla “primavera araba” e documentare casi di corruzione o rischio ambientale e di tutela del paesaggio. Come quando, ricorda il rapporto, una comunità di blogger e attivisti è riuscita a impedire la costruzione di una torre del colosso statale Gazprom in una importante area storica di San Pietroburgo. Tanto che, scrivono i ricercatori, «la funzione di cane da guardia di Internet in Russia è particolarmente forte». Un contropotere sempre più rilevante, se si considera che la penetrazione della Rete nel Paese ha raggiunto il 50% della popolazione, senza distinzione tra uomini e donne – anche se, come in tutti i Paesi sviluppati, con picchi nei centri urbani e tra i più giovani e i più benestanti.

Per fare fronte a questa massa critica di costruzione del dissenso, si legge nel rapporto, il governo russo – «sorprendentemente» per la categoria dei regimi semi-autoritari cui appartiene – non ha fatto ricorso ad alcun tipo di filtraggio dei contenuti online. E anche la sorveglianza del web, annunciata con grande apprensione da Reporters Without Borders solo lo scorso ottobre, e condotta tramite l’utilizzo di nuovi software di identificazione dei messaggi «estremisti», non sembra alterare affatto i comportamenti di quella che il Berkman Center definisce una vera e propria nuova «istituzione digitale». Perfino i tentativi di usare blog e Twitter per diffondere la propaganda pro-governativa sono scarsamente efficaci. Considerando gli 11 mila più letti e linkati, infatti, secondo lo studio non appare alcun raggruppamento significativo e coordinato di blogger filo-Cremlino. Per Putin le cose vanno meglio su Twitter, ma solo di facciata: gran parte dei consensi sarebbero raccolti tramite account creati all’occorenza e ricorrendo all’uso di bot. A questo modo gli hashtag, cioè gli argomenti di discussione creati sul servizio di microblogging, non riescono a fare presa sulla più vasta platea degli iscritti, né – e qui sta il fallimento – a contrastare efficacemente le critiche dei dissidenti.

Certo, anche le rose hanno le spine. Preoccupa, infatti, la larga diffusione di blog ultranazionalisti che esprimono posizioni «estremamente xenofobe» nei confronti delle popolazioni caucasiche e della Rusia meridionale. E preoccupano due metodi di repressione cui il regime fa ampiamente ricorso. Da un lato, le intimidazioni offline dei critici, che si spingono fino all’incarcerazione di blogger e giornalisti troppo indipendenti – senza contare le uccisioni sospette, come quelle di Anna Politkovskaja. Dall’altro il ricorso sempre più massiccio ad attacchi DDoS per impedire l’accesso alle fonti di controinformazione in momenti particolarmente significativi della vita politica del Paese. Per esempio, le tornate elettorali. Tra novembre e dicembre scorso, il fenomeno ha riguardato il sito di monitoraggio delle elezioni Golos.org e la sua mappa in crowdsourcing (cioè compilata dai cittadini digitali) dei brogli avvenuti nel Paese, la radio Eco di Mosca, i siti dei giornali Gazeta, Lenishdat, Dosh e Zaks, oltre alle pagine web dell’opposizione. Un fenomeno difficilmente contrastabile data la natura distribuita e improvvisa degli attacchi.

Così a chiudere lo studio del Berkman Center è un monito: «è possibile che le condizioni per una libera Rete in Russia peggiorino con Putin se dovesse vincere le elezioni, visto che non si è mai espresso contro la censura del web altrettanto chiaramente rispetto a Medvedev, e che tende ad allinearsi filosoficamente», scrivono ancora i ricercatori, «con le posizioni dei servizi di sicurezza e dei ministri che hanno chiesto un maggiore potere di controllo di Internet». La battaglia per la libera espressione online, insomma, più che vinta sembra solo all’inizio. 

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