Altro che investimenti, la Cina vende il debito italiano

Altro che investimenti, la Cina vende il debito italiano

CERNOBBIO – Altro che investimenti in Italia. Il presidente del Consiglio Mario Monti rischia di tornare a casa, dopo il roadshow asiatico, con un pugno di mosche. Del resto, se la tendenza è quella dettata da Bank of China, non ci sarebbe da stupirsi. Il colosso bancario cinese infatti ha comunicato oggi, durante la presentazione del bilancio 2011, di «non detenere alcun titolo di debito emesso da Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia». Non esattamente il miglior biglietto da visita per Monti.

Bank of China ha chiuso diverse posizioni in Europa, mantenendone però Regno Unito, Germania, Olanda, Francia e Svizzera. Di conseguenza, l’esposizione è passata dai 15,7 miliardi di dollari di fine 2010 ai 12,9 miliardi di fine 2011. Sono quindi 2,8 i miliardi di dollari che il colosso bancario ha tagliato sui Paesi dell’eurozona periferica, Italia compresa. E dai vertici, non sono state date indicazioni su eventuali riacquisti nel prossimo futuro. La sfiducia che Roma possa non raggiungere gli obiettivi fissati con Bruxelles, sia su sostenibilità del debito sia sulle riforme strutturali, ha quindi trainato la chiusura delle posizioni da parte della Bank of China.

A peggiorare c’è però un altro aspetto. La decisioni dell’istituto di credito non sarebbero legate alla fase iniziale della crisi italiana, quella compresa fra il maggio e il settembre scorsi, quando quindi al governo c’era Silvio Berlusconi. Fonti bancarie spiegano a Linkiesta che sarebbero invece arrivate a cavallo di novembre e dicembre, in vista della chiusura dell’anno commerciale, cioè quando Mario Monti si era già insediato a Palazzo Chigi. Colpa di una mancata sicurezza sull’Italia o sull’eurozona in generale? Lecito pensare la prima, dato che Bank of China avrebbe deciso di chiudere le posizioni italiane solo dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna.

E mentre Monti cerca di rassicurare gli investitori asiatici, a Cernobbio il Gotha dell’universo economico-finanziario discute su chi sarà a trainare l’economia globale nei prossimi anni. Nel consueto Forum Ambrosetti di primavera, la crisi dell’euro fa ancora paura, soprattutto per via dei possibili sviluppi in grado di colpire su scala globale. Del resto, i Bric (Brasile, Russia, India, Cina) stanno rallentando, come ricorda chi ha coniato il termine, Jim O’Neill di Goldman Sachs Asset Management. E gli Stati Uniti hanno ancora diversi problemi irrisolti, non ultima la disoccupazione. Sulle sponde del lago di Como, il timore più grande è che non ci sia abbastanza tempo per trovare una soluzione sostenibile alle sofferenze dell’euro. E in questo clima, non c’è alcun economia o area che può considerarsi al sicuro.

Sebbene non ne parli nessuno, l’Italia è protagonista. Nei corridoi di Villa d’Este, dove ha sede il forum, tutti si chiedono in che modo la riforma del mercato del lavoro sarà portata avanti dal governo Monti. Non solo. Ultimato questo passaggio, occorrerà stimolare la crescita economica per evitare una recessione più pesante delle previsioni. Infine, dopo la sbornia di liquidità della Banca centrale europea (Bce), sarà necessario far tornare la fiducia verso i titoli di Stato italiani negli investitori stranieri.

Per ora, il roadshow di Monti ha fruttato tante promesse ma pochi, pochissimi, impegni concreti. Colpa anche dell’incertezza sul funzionamento del fondo a protezione dell’eurozona. Nel vertice europeo in corso a Copenhagen si è però trovato un accordo. Si utilizzerà in contemporanea il fondo European financial stability facility (Efsf), inizialmente concepito come temporaneo, lo European stability mechanism (Esm) e lo European inancial stabilisation mechanism (Efsm). In questo modo l’eurozona avrebbe una dotazione di circa 800 miliardi di euro: 440 dall’Efsf, 500 dall’Esm, 60 dall’Efsm, meno i 200 miliardi finora erogati per Grecia, Irlanda e Portogallo. Eppure, c’è il timore che non sembra bastare nel caso entrassero nel calderone della crisi più severa sia Spagna sia Italia. Questo perché, se si esclude l’Efsf, le nuove risorse sono solo quelle relative all’Esm, cioè 500 miliardi. E i conferimenti, come riferisce l’Eurogruppo, dovranno essere effettuati subito, con la conseguenza che per l’Italia arriverà un ulteriore esborso finanziario.

A differenza dell’edizione di settembre, in cui l’Italia era al centro delle attenzioni, ora a Cernobbio la percezione generale è mutata. Non più la crisi esclusiva di un Paese o di un area, ma globale. E in questo contesto l’Italia cerca di giocare la sua partita. Purtroppo, come ci fa notare quasi sottovoce un banchiere presente a Cernobbio, «c’è da sperare che nessuno si accorga che si sta facendo davvero poco». Se sia un nemmeno troppo velato attacco a Monti oppure una mera presa di coscienza lo capiremo fra poco. Cioè quando Roma dovrà rendere conto all’Ue del proprio percorso di riforme.  

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