Paese che vai, riforma del lavoro che trovi. La bozza presentata ieri dalla ministra Fornero, ammesso che la discussione parlamentare non ne cambi completamente la fisionomia, va a sanare alcune situazioni presenti soltanto nel nostro Paese, mentre interviene su altre dove la rigidità della normativa italiana è più pronunciata. Ad esempio, l’abuso delle partite Iva al posto del lavoro dipendente subordinato è un’anomalia solo italica, così come l’assenza del reddito minimo, quest’ultimo strumento non è oggetto della proposta sul mercato del lavoro. In Germania, invece, il corrispettivo del nostro art. 18 prevede che il reintegro sul posto di lavoro per motivi risarcitori si applichi alle imprese dai 5 dipendenti in su, e non dai 15 in su. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali e il reddito minimo, quasi tutti gli ordinamenti comunitari in materia applicano un regime di welfare suddiviso in tre scaglioni – indennità retributiva, indennità assistenziale e reddito minimo – al posto della giungla italiana degli ammortizzatori sociali in deroga.
Partendo dai nodi emersi finora, Linkiesta ha provato a mettere in prospettiva la riforma del mercato del lavoro con alcuni elementi distintivi del sistema francese, spagnolo e tedesco, con l’aiuto di Gianluca Busilacchi, docente di Sociologia del welfare europeo presso l’Università di Macerata e di Stefano Giubboni, docente di Diritto del Lavoro, nel medesimo ateneo. Quattro i temi analizzati: la disciplina del licenziamento – leggi art. 18 – il lavoro autonomo, gli ammortizzatori sociali e il reddito minimo garantito. Ovviamente si tratta di spunti che non vanno presi in assoluto, ma contestualizzati nelle singole realtà nazionali, piuttosto diverse l’una dall’altra.
☛ False partite Iva
In base al disegno di legge dopo 6 mesi di monocommittenza il rapporto di lavoro diventa subordinato. «L’abuso di forme di lavoro fittiziamente autonomo non esiste negli altri ordinamenti», spiega il prof. Giubboni, che osserva: «Già tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 si parlava in Italia di fuga dal lavoro subordinato». «La tendenza è stata accelerata dalla produzione legislativa dell’ultimo decennio, intensificata poi dal decreto 276/2003», nota Giubboni. Si tratta del decreto attuativo della Legge Biagi, che per il docente dell’ateneo marchigiano è andata ben oltre le intenzioni del prof. Biagi da cui prende il nome. «In ogni caso», conclude Giubboni, «in Spagna, Francia o Germania non esiste uno stock di lavoratori autonomi e artigiani così ampio come in Italia».
☛ Articolo 18
Per Giubboni «Il grado di rigidità e quindi di flessibilità in uscita in Europa è molto variabile. Ad esempio nel modello tedesco sono presenti degli strumenti che raggiungono lo stesso grado di rigidità della tutela reintegratoria, mediante le procedure sindacali in azienda, che devono rispettare vincoli procedurali ben precisi». In Germania, peraltro, la soglia di applicabilità del reintegro risarcitorio è più bassa rispetto a quella italiana, partendo dalle società con più di 5 invece che di 15 dipendenti. Un’asticella che dovrebbe cadere con le nuove norme, valide per tutti indipendentemente dalla dimensione dell’impresa.
In Spagna, invece, la recente riforma varata dal Governo Rajoy riduce a 33 giorni per anno di lavoro l’indennità di licenziamento e introduce una nuova tipologia contrattuale per gli autonomi e le Pmi con meno di 50 dipendenti, oltre a vari incentivi fiscali per l’assunzione dei giovani, il cui tasso di disoccupazione è tra i più alti d’Europa. Tuttavia, sottolinea Giubboni, uno dei rischi della bozza Fornero, riguarda la possibile creazione di nuovi dualismi tra chi possiede tutele sufficienti e chi no. Ad esempio, la Pa è esclusa dalla riforma, così come la disciplina dei licenziamenti collettivi. «Se è vero che normativa nuova riguarda il licenziamento individuale per motivi economici e non i licenziamenti collettivi, si creerebbe una situazione singolare che rovescia l’intero percorso storico del diritto del lavoro italiano, poiché la disciplina collettiva è debole e risale a leggi dei primi anni ‘90», sostiene il docente. In Francia, ad esempio, lo Stato ha la facoltà di imporre all’impresa, nell’ambito del social plan, obblighi di outplacement dell’organico a fronte di ridimensionamento per motivi economici, considerando quindi le ricadute sociali delle scelte imprenditoriali.
☛ Ammortizzatori sociali e reddito minimo garantito
«Si pensa sempre che il reddito minimo garantito sia compreso nelle politiche del lavoro, in realtà si tratta di una politica di sostegno al reddito, e quindi di assistenza sociale», chiarisce subito Gianluca Busilacchi. A fine dicembre la ministra Fornero aveva ipotizzato l’introduzione di un reddito minimo per i disoccupati, ipotesi che è già realtà in molti Paesi europei, tra cui Spagna, Germania e Francia. Come funziona? «Su tre livelli: indennità contributiva, quando cioè i lavoratori maturano un tot di anni di contributi hanno accesso a determinate prestazioni», spiega Busilacchi. «Dopo cinque anni di versamenti se a una persona capita un infortunio sul lavoro ha diritto a un’indennità che raggiunge una certa soglia. Qualora la disgrazia succeda prima dei cinque anni, scatta il secondo livello, sostanzialmente una pensione assistenziale, meno generosa del primo livello ma valida anche per quanti non abbiano raggiunto una minima maturità contributiva». In Italia esistono nell’ordinamento attuale vari strumenti come mobilità e cassa integrazione, quasi tutti a carattere straordinario e in deroga. «Nel secondo livello», continua Busilacchi, «a pagare per il lavoratore disoccupato è la fiscalità generale. Se infine, esaurita la sua durata, il lavoratore non è ancora riuscito a reinserirsi e non ha risorse economiche sufficienti finisce nel terzo scaglione, quello del reddito minimo garantito».
Nel lontano 1997 la Commissione Onofri aveva provato a introdurre dei simili criteri, poi modificati nel corso degli anni verso una frammentazione eccessiva della materia. Denuncia Busilacchi: «Il grosso dell’attenzione mediatica è concentrato sull’art. 18 e delle tutele e dei licenziamenti. Da noi esiste sistema relazioni industriali neocorporativo che si basa sulla concertazione e su contratti centralizzati e fa parte del modello sociale europeo, Inghilterra esclusa». Nonostante le Pmi rappresentino il principale datore di lavoro in Italia.
Twitter: @antoniovanuzzo