Le imposte sulla benzina sono troppo alte: su questo, siamo dalla parte del consumatore. È insulso che in un periodo di grave recessione dei consumi si imponga su ogni litro di benzina un carico di imposte pari al 60% del totale del prezzo. Il 5 marzo 2012 in media in Italia bisognava sborsare 1,771 euro per ogni litro di benzina, e di questo prezzo ben 1,011 euro erano destinate alle casse dello Stato.
Considerando l’inflazione, stiamo per raggiungere il record del 1977, quando occorreva pagare 1,856 euro al litro. Le conseguenze sociali si stanno già facendo sentire. Uno dei motivi per la recente protesta degli autotrasportatori era proprio il fardello dei prezzi dei carburanti, e il pittoresco movimento dei “Forconi” in Sicilia ha annunciato il 9 marzo l’intenzione di occupare le raffinerie di Gela e Priolo.
Siamo incerti su quanto l’occupazione di una raffineria, che per l’appunto serve a produrre benzina, riuscirà ad abbassare i prezzi dei carburanti – ma nel frattempo anche i gestori dei distributori hanno iniziato a litigare con i petrolieri, tanto che hanno indetto una protesta per il 13 marzo. Secondo due associazioni di categoria, Faib Confesercenti e di Fegica Cisl, quella italiana sarebbe una «situazione intollerabile, tanto più grave perché causata da una azienda a capitale pubblico (chissà a chi si riferiscono…, ndr), che non trova giustificazione alcuna, neanche nelle fantasiose e logore ripetizioni sull’andamento dei mercati internazionali».
È vero che uno dei parametri di riferimento impiegato da Eni e dalle altre compagnie per spiegare l’andamento dei prezzi è ampiamente passibile di miglioramento. Si chiama della quotazione Platt-CIF sui prezzi internazionali. Per il resto, ci sono molti altri fattori che concorrono. Prendiamo due date come riferimento. La prima è il 5 gennaio del 2009, quando la verde costava 1,083 euro al litro. La seconda è il 5 marzo, quando il prezzo era 1,771 euro. In questo periodo, il prezzo della benzina è aumentato del 64%. Ma quali fattori hanno concorso maggiormente all’aumento?
Il prezzo del petrolio è quello che può venire in mente per primo. All’inizio del 2009, il Brent (il mix di riferimento in Europa) costava circa 35 euro al barile, mentre oggi gravita attorno ai 90-95. È un aumento di prezzo superiore al 165%. Se consideriamo allora il prezzo della benzina al netto delle tasse, esso era di 0,338 euro al litro nel gennaio del 2009, e adesso è di 0,76 euro, per un aumento del 125%. Sembrerebbe una quotazione in linea con il profilo industriale del settore petrolifero: il prezzo base della benzina è aumentato meno rispetto alla quotazione del barile. Per l’aumento del prezzo del barile è stato chiamato in causa il “peggioramento” del tasso di cambio con il dollaro, ma esso ha contribuito a un mero 7% rispetto al totale 165% di variazione del prezzo espresso in euro.
Possiamo quindi passare alla parte che tutti aspettavano: le tasse. Le accise sui carburanti sono state aumentate senza ritegno negli ultimi due anni. All’inizio del 2009 l’accisa era di 0,564 euro al litro, e adesso è arrivata a 0,704. Le altre tasse sono passate da 0,18 a 0,307 euro al litro. Eppure, la percentuale di tasse sul prezzo totale della benzina, alla fine, si è mantenuta costante, attorno al 60 per cento. All’inizio del 2009 era addirittura più alta, al 69%, perché la benzina era molto bassa, e l’accisa è un prelievo fisso su ogni singolo litro. A questo punto, potremmo verificare quale sarebbe stato un prezzo “adeguato” della benzina se il prelievo fiscale fosse stato ancorato a un periodo “normale”: simuleremo il “congelamento delle accise”. Non possiamo impiegare il 5 gennaio 2009, perché allora il prezzo era eccessivamente basso a causa della crisi. Un anno dopo, il 4 gennaio 2010, la benzina costava 1,294 euro al litro, con un prelievo fiscale di 0,216 euro.
Se sommassimo il prezzo base di oggi alle tasse del gennaio del 2009, il prezzo totale sarebbe di 1,551 euro al litro, anziché 1,771. Sarebbe sicuramente più accettabile per i cittadini e per le imprese, e aiuterebbe a ridurre le conseguenze della recessione economica nazionale. Chiaramente lo stato incasserebbe la stessa cifra in tasse che aveva messo in borsa un paio d’anni fa – a parte la riduzione dei consumi dovuta alla crisi.
Forse le compagnie energetiche hanno una parte di responsabilità, ma se il Brent costa oggi 93 euro al barile anziché 35, il governo dovrebbe reagire diversamente. Non dovrebbe vedere nei rialzi del barile un’opportunità per far cassa. Dovrebbe essere un’occasione per fare “politica economica”, riducendo il prelievo fiscale (relativo). Saranno mai in grado dei “tecnici” di fare “politica”?