C’è un episodio che racconta nel miglior modo possibile la vita politica di Davide Boni, presidente del consiglio regionale lombardo della Lega Nord indagato per corruzione per una variante del piano urbanistico del comune di Cassano D’Adda. Un giorno, durante le polemiche per la scuola Islamica di via Ventura nel 2006, l’allora assessore all’Urbanistica arrivò di fronte all’edificio con degli stivali da cowboy bianchi per protestare tutto il suo dissenso contro l’occupazione islamica. «Perché se gli islamici vogliono la scuola, allora io chiedo una scuola per fare la cassoeula milanese!», spiegò in una sorte di milanese stretto con vocione alla Mario Brega di fronte ai giornalisti che rimasero tra il basito e lo stupefatto nel prendere appunti.
È una frase del tutto insensata per un politico normale, quasi come i deliri di Bossi su Monti di questi giorni. Resta però che l’abbinamento cassoeula-mussulmani ha sempre infiammato la pancia padana, che verso personaggi come Boni o come il suo mentore Mario Borghezio ha sempre avuto enorme rispetto e venerazione. Non si tratta di un colletto bianco come il tesoriere Francesco Belsito, a cui i militanti rinfacciano i soldi spediti in Tanzania. Nè un Alessandro Patelli, l’ex tesoriere condannato per la tangente Enimont negli anni ’90. E non stiamo parlando neppure di un consigliere di provincia preso con le mani nella marmellata per qualche soldo preso a una sagra di paese.
L’elettorato, infatti, venera tipi come Davide Boni. Alle manifestazioni sono in tanti spesso a chiedere dove «sta il Boni?». Perchè vogliono salutarlo e stringergli la mano, dopo averlo visto sulle televisioni locali urlare contro «le barbe lunghe degli imam». E proprio qui sta il problema dell’indagine partita nei confronti di questo leghista nato a Milano nel 1962, tra i più giovani presidenti di provincia a Mantova dal 1993 al 1997, quando aveva appena 25 anni. Perché la base ha sempre visto Boni come uno dei duri e puri del Carroccio. Come un Matteo Salvini. Personaggi intoccabili dalla magistratura, secondo il severo (?) giudizio padano. Non a caso, alle ultime elezioni Boni è stato il più votato tra i leghisti in regione con più di 13 mila preferenze, aumentando il suo consenso di 2mila unità rispetto lo scrutinio del 2005.
Sposato con due figli. Amante delle macchine da corsa, ha una Porche Carrera, tra i più ricchi del consiglio regionale, il reddito del 2009 indica 217mila euro, Boni è stato tra i leghisti quello che ha speso di più per l’ultima campagna elettorale: 50 mila euro. Tutti di tasca propria. Ma nel Carroccio, va detto, non era più venerato come durante l’ultimo mandato di Roberto Formigoni in Lombardia. La voglia di visibilità che lo ha sempre contraddistinto in questi anni, (a volte è stato beccato pure a fumare in consiglio in spregio a ogni regola ndr), lo ha inimicato alla maggior parte del gruppo consigliare leghista. I battibecchi con il capogruppo Stefano Galli sono all’ordine del giorno, in particolare sulle competenze di chi doveva intervenire sui vari argomenti all’ordine del giorno.
In via Bellerio si racconta che negli ultimi tempi fosse rimasto un po’ isolato anche nello scontro tra i barbari sognanti di Roberto Maroni e il cerchio magico del Senatùr. Anche per colpa dell’indagine che lo ha travolto questa mattina mentre presiedeva in consiglio regionale. Un’inchiesta nata lo scorso anno che aveva coinvolto l’allora assessore di Cassano D’Adda Marco Paoletti, ora consigliere provinciale del Carroccio, uomo di fiducia proprio Boni e presunto tramite nel giro di tangenti. Forse anche per questo motivo, il cowboy del Carroccio aveva fatto fatica a prendere posizione. E qualcuno glielo aveva persino fatto presente. Soprattutto a Pavia dove era stato inviato come mediatore tra le fazioni in guerra, senza ottenere risultati tangibili.
Il suo gruppo di riferimento, poi, è sempre stato quello di Borghezio e di Max Bastoni, attuale consigliere comunale di Milano, famoso per una cartello elettorale dal nome «Bastoni per gli immigrati». È la fazione leghista dei duri e puri che non le mandano a dire a musulmani, comunisti o massoni. Sono vicini a iniziative come quelle della Guardia Padana, spesso mal tollerate in particolare dai maroniani che negli ultimi anni hanno cercato di smussare gli angoli dei discorsi politici dello stesso Senatùr.