Una pubblicità del Campari con l’attrice Salma Hayek
Un digestivo ci aiuterà a mandare giù l’amaro boccone della recessione. Lo dimostrano i conti di Campari, storico gruppo italiano che controlla tra gli altri i marchi Aperol, Cinzano e la vodka Skyy, in mano alla famiglia milanese Garavoglia. L’utile si è assestato a 159,2 milioni di euro, in crescita dell’1,9% rispetto al 2010 ma al di sotto delle attese degli analisti, pari a 174 milioni stando al consensus registrato dall’agenzia Reuters. Un divario che ha innescato la reazione degli operatori: il titolo è subito andato in rosso, venendo sospeso per eccesso di ribasso. In asta di volatilità è arrivato a perdere oltre il 6% teorico a 5,28 euro per via delle prese di profitto. Ma da un anno a questa parte ha guadagnato quasi il 16 per cento.
Gli azionisti si possono consolare con un dividendo – la cedola sarà staccata il 21 maggio – in crescita del 16,7% a 0,07 euro per azione. In crescita anche le vendite a 1,2 miliardi di euro (+9,6% sul 2010) e i margini (Ebitda), che salgono del 10,3% a 325,8 milioni di euro da 295,3 milioni di fine 2010. Cala invece il debito, che passa da 677 milioni dello scorso esercizio 2010 a 636,6 milioni del 2011, dopo le acquisizioni per 31,5 milioni della società distributiva Vasco in Russia e della marca Sagatiba in Brasile. L’anno scorso, inoltre, Campari ha aggiunto alla sua galassia il liquore alla nocciola Frangelico, il whiskey Irish mist e la crema al liquore irlandese Carolans per 22,8 milioni complessivi.
Il debito, in ogni caso, è poco meno del doppio dei margini (1,9x), meno di Pernod-Richard (3,9x), ma più di Remy Cointreau (1,06x), un livello che comunque il management ritiene sia sostenibile. Superiore alle attese, invece, il peso del fisco che mediamente ha inciso sul 26,4% degli utili anche per via di un accordo extragiudiziale da 4,7 milioni di euro. Nel 2011 il gruppo ha investito massicciamente per promuovere i suoi brand, come dimostra l’incremento del 12,8% sul 2010 delle spese pubblicitarie (229,1 milioni di euro), che crescono al 18% delle vendite (17,5% nel 2010). Significa che per ogni euro guadagnato 18 centesimi se ne vanno in marketing.
Andando a spulciare i risultati nel dettaglio si evince che il traino del gruppo sono i superalcoolici: le vendite sono aumentate del 10,5%, seguite dalle bollicine (+5,6%), mentre i soft drinks come il Crodino e la Lemon Soda si contraggono leggermente (-0,4%) rispetto al 2010. Guardando invece la ripartizione geografica, si scopre che gli argentini vanno matti per il Campari e il Cinzano (vendite a +71% anno su anno), mentre i messicani apprezzano la vodka Skyy così come gli americani. I brasiliani hanno invece scoperto il Campari e i tedeschi l’Aperol (+87% sul 2010). Il tradizionale spritz rimane un’abitudine italiana che non conosce crisi, come dimostra il +12% anno su anno dell’Aperol e la crescita a doppia cifra del Campari. L’Aperol da solo ha segnato una performance verticale nel 2011, con una crescita organica del 38,9% e un peso sulle vendite totali che passa dal 9 al 12% in un anno. Il 38% delle quali si regge su quattro marchi: Campari, Aperol, Skyy e Cinzano.
Geograficamente la società è presente in tutto il mondo, ma sono l’Italia e l’America a contare di più, rispettivamente 31,6 e 33,5% delle vendite, ma mentre a Roma sono gli amari a trainare (+3,9% sul 2010), in Usa sono gli spumanti e i rosée Cinzano (+65,4%). Amari, digestivi e whiskey continuano a fare la parte del leone, con un peso del 76% sulle vendite.
Dopo la riorganizzazione andata in scena nel 2010, la famiglia Garavoglia – che oggi detiene tramite la holding Alicros il 51% delle quote di Davide Campari – è “moderatamente ottimista” sul 2012 del gruppo. Quando i mercati vanno male, ci si consola con l’alcol.
Twitter: @antoniovanuzzo