Mi consentoCaro Monti, a furia di tirare finisce che la corda si spezza

Caro Monti, a furia di tirare finisce che la corda si spezza

Qualcosa è cambiato. C’è poco da dire. Mario Monti ha accelerato, il viaggio in Oriente ci sta regalando un presidente del Consiglio inconsueto, molto meno diplomatico e dialogante, e molto più tranchant. Sempre al limite dell’ultimatum: o così, o me ne vado. E a questo punto, all’ennesima sollecitazione in questo senso, non si può più parlare di casualità.

Del resto gli animi erano già sufficientemente surriscaldati dopo il varo, in Consiglio dei ministri, della riforma del lavoro. Provvedimento  fortemente contestato dalla Cgil e anche dal Pd soprattutto per l’abolizione dell’articolo 18. Chi si aspettava che, dopo le tensioni dello scorso fine settimana, il presidente del Consiglio ci avrebbe regalato una settimana di silenzio sui temi più caldi, aveva evidentemente sbagliato. Monti ha invece approfittato del viaggio in Corea per accelerare, per marcare una distanza tra sé e i partiti.   

Il professore ha cominciato lunedì, da Seul, citando e invertendo una frase all’epoca resa celebre da Giulio Andreotti. “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, diceva il senatore a vita quand’era presidente del Consiglio di governi barcollanti. Monti ha usato la sua dichiarazione per dire il contrario, per sostenere che loro non sono disposti a tutto, solo a fare un buon lavoro, che è poi il compito per cui sono stati chiamati. Un primo tentativo di strappo che non è andato a buon fine, vista la reazione tutto sommato pacifica di Pier Luigi Bersani.

E allora stamattina ha deciso di tornare decisamente sull’argomento, con un tono e un piglio autoritario cui non ci aveva abituati. «Nonostante alcuni giorni di declino a causa delle nostre misure sul lavoro, questo governo sta godendo un alto consenso nei sondaggi, i partiti no». Insomma, il mio Governo piace agli italiani, altro che i partiti. La giornata politica, in Italia, è cominciata con questa dichiarazione rimbalzata dal Giappone. Ma come? Non ci eravamo liberati del presidente del Consiglio che dichiarava sondaggi alla mano? 

A questo punto non si può trattare più di casualità, bensì di strategia comunicativa. Monti ha rotto gli indugi e vuole arrivare allo scontro. Non si spiegano altrimenti ulteriori sue dicharazioni. Come quella sull’accordo raggiunto da Alfano, Bersani e Casini sulla legge elettorale. «Non so nulla perché non ho letto i giornali». Per non parlare dell’ormai famosa telefonata ricevuta da Cicchitto che non avrebbe consentito a Monti di ascoltare i complimenti elargiti da Obama per l’ottimo lavoro che sta svolgendo in Italia. Chi volete che l’abbia data ai giornalisti? Cicchitto no di certo. E il messaggio sembra fin troppo chiaro: “mi sono perso i complimenti di Obama perché ero impelagato nelle solite pastoie di casa nostra”.

A questo punto la domanda è: perché questo cambio di passo? Che cosa sta succedendo? Monti ha deciso di scendere in campo? Oppure è solo un braccio di ferro per riuscire ad avere carta bianca nei prossimi mesi di governo? Sta di fatto che oggi le prime reazioni non si sono fatte attendere. E mentre Nichi Vendola che gli risponde per le rime («Toh, un altro che più che occuparsi dei problemi della gente si occupa dei sondaggi») era preventivabile, meno lo era la reazione di Bersani. In serata il segretario del Pd ha definito stucchevole la contrapposizione tra tecnica e politica, paragonandolo ai polli di Renzo, rimarcando la necessità di modificare in Parlamento la riforma del lavoro. E stavolta  anche dai banchi del Pdl qualcuno ha mugugnato. Per non dire del finiano Italo Bocchino, personaggio di certo non centrale nella vicenda politica nazionale, però un montiano di ferro fino a ieri. Anche lui ha parlato di caduta di stile da parte del professore.   

Siamo ancora lontani dallo scontro, ma se Monti continuerà a tirare la corda finirà che prima o poi si spezzerà. Non sarà un caso che nell’ultima settimana il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sia dovuto intervenire più volte sul dibattito politico. Prima provando a rassicurare sugli effetti della riforma del lavoro – compito non di stretta pertinenza del Quirinale – poi difendendo l’operato del Governo: «La gente comprende una necessità di cambiamento, non vedo in giro esasperazioni». E se il Colle è costretto a chiarire e a rassicurare, vuol dire che le acque si stanno agitando.      

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