C’era una volta una città diventata grande grazie allo scambio di idee, culture, commerci. Stava in un posto non sempre accogliente, chiamato Pianura Padana, ma comodo come crocevia per i transiti che dal Nord dell’Europa cercavano uno sbocco sul mare e per quelli che, dall’oceano Atlantico puntavano verso il cuore dell’Europa Continentale. Quella città si chiamava e si chiama Milano.
Una città che, dalle parti de Linkiesta, amiamo nonostante tutto e tutti. Perchè molti di noi ci sono nati e cresciuti, e anche chi in qualche modo è adottivo spesso, superate diffidenze e la fatica di una città complicata, se ne innamora. Oggi però, leggendo la lista degli aventi diritto alla “corsia preferenziale” – 4113, di cui molte società con forse più di una macchina – ci è venuto un po’ di mal di stomaco.
La lista, consultabile su Repubblica Milano, è il solito elenco di categorie privilegiate: banche, bel mondo della finanza, giornalisti, qualche non meglio precisata autorità, sindacati. Perchè? Boh. Inutile arrampicarsi sugli specchi di spiegazioni improbabili, di ragioni di servizio o economiche. Inutile convincere un commerciante o un pony express che la sua fretta ha meno diritto di quella di un banchiere. Per questo, se pur è apprezzabile nello spirito la proposta di Pisapia, che mira a ridurre del 40% i pass per le corsie privilegiate, al sindaco ci sembra doveroso chiedere di più: l’abolizione totale dei pass.
Area c è fatta apposta per liberare il centro di Milano, e più in generale è una questione di principio: i privilegi si chiamano col loro nome, e vanno combattuti. Non ha senso questa disparità di trattamento che favorisce, ancora una volta, chi già ha più possibilità. Che senso ha? Nessuno, da nessuna parte. Meno che mai a Milano, la città che nasce per essere terra di mezzo in cui – ancora oggi come in nessuna città d’Italia – si parte tutti alla pari.