Mi consentoDell’Italia di Berlusconi non è rimasto nemmeno il Grande fratello

Dell’Italia di Berlusconi non è rimasto nemmeno il Grande fratello

Fa un po’ sorridere la polemica, o presunta tale, nel Pdl, col grande capo che prima boccia il delfino (“gli manca il quid”) poi, nella migliore delle tradizioni, fa marcia indietro. Col resto delle truppe, disorientate come nemmeno l’armata Brancaleone, che fanno a gara a chi offre prima il suo sostegno ad Alfano con l’immancabile comunicato stampa. Roba vecchia, da prima repubblica. Buona tutt’al più per i quotidiani che almeno ci riempiono una pagina e ancora continuano a ipotizzare, a fare congetture su frizioni, frazioni e accorpamenti. Silvio lo sa. Rinchiuso nella sua Arcore o a Palazzo Grazioli, Silvio lo sa che un’epoca è finita. Lo ha capito prima di tutti, quando ha ceduto a Napolitano e ha dato il via libera al governo Monti beccandosi i fischi e gli insulti di una piazza inferocita e di un’Italia che lo aveva nominato signor Malaussène ad honorem.

L’altra Italia, quella che gli ha consentito di vincere tre elezioni su cinque e in pratica di pareggiarne una quarta, si è invece dissolta. Tace. Osserva il governo Monti e in fondo lo apprezza. Probabilmente ha abbandonato il sogno della cosiddetta rivoluzione liberale – che in fondo era una gran baggianata – e apprezza il passo costante e deciso del professore bocconiano che sta sempre con chi comanda, per carità, ma lo fa con gran classe. L’Italia della sobrietà, e persino dell’onesta verrebbe da dire se non scappasse un po’ da ridere, si sta lentamente insediando al posto dell’Italia delle libertà, meravigliosamente tratteggiata da Corrado Guzzanti nei suoi memorabili sketch. “Questa è la casa della libertà e facciamo un po’ quel cazzo che ci va”, recitava l’attore tra rutti e atteggiamenti non consoni a monsignor della Casa.

Di quel mondo lì sembra rimasto poco. Un po’ come accadde col fascismo. Il 24 luglio del 1943 la maggioranza degli italiani stava col Duce, il 26 si risvegliò quasi antifascista. Dove fossero finiti non è dato sapere. Certo, il paragone è ingenuotto, c’era una guerra, una dittatura, eppure l’architrave di quel ventennio si tramutò in una sparuta comitiva che si asserragliò nel fortino di Salò. Oggi i protagonisti non fuggono né si nascondono. Del resto hanno la sola colpa di aver vinto le elezioni. Ma la loro base non esiste più. E se la storia va letta anche attraverso gli episodi minimi, non può passare inosservato che con l’avvento del professor Monti è andato in crisi anche il Grande fratello.

La dodicesima edizione del reality, che un po’ sconvolse la nostra Italia nel lontano duemila, terminerà in anticipo. Nessuno lo guarda più. Sì, certo, la spiegazione più ovvia è che il format sia usurato: dieci o dodici “disperati” chiusi in una casa tra amori, liti, invidie e amicizie, non fanno più notizia, non attirano più. Sono lontani i tempi del povero Taricone che, novello Alberto Sordi in salsa casertana, divenne gran protagonista nel ruolo del bullo rubacuori ma in fondo bonaccione. Un po’ come accade con Sanremo, anche allora era difficile incontrare qualcuno che ammettesse di guardare il reality lanciato da Daria Bignardi. I dati di ascolto, però, parlavano da sé.

C’era tanta Italia berlusconiana in quella casa, soprattutto il sogno di sfondare senza dover fare la solita trafila, senza impegnarsi e magari senza averne nemmeno le qualità per farlo. Il Grande fratello era una sorta di corsia preferenziale. Qualcuno l’ha sfruttata nel migliore dei modi – su tutti Luca Argentero e la moglie di Pieraccioni Laura Torrisi, oltre allo sfortunato Taricone –, la gran parte ha comunque ottenuto lavori, visibilità e soldi che probabilmente mai avrebbero conquistato, come ad esempio Raffaella Fico oggi fidanzata o pseudotale di Mario Balotelli; o, ancora, Angela Sozio, assurta nientemeno che al rango di papi girl; qualcun altro è tornato a casa con le pive nel sacco. Ma il sogno berlusconiano l’hanno vissuto tutti.

Quel sogno, oggi, interessa meno. L’Italia non si appassiona o, meglio, fa finta di non appassionarsi più alle corsie preferenziali. Ovviamente resta solo una trasmissione televisiva. Però ancora una volta gli italiani dimostrano di essere un popolo camaleontico, con tante anime, difficilmente collocabile in una casella. Forse da qui a un programma di successo sulla sobrietà ce ne corre, ma quattro mesi sono ancora pochi. Non disperiamo.   

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