L’ultimatum della Grecia sta per scadere. Alle 21 di domani si chiuderà la possibilità per i creditori privati di aderire allo swap di titoli di Stato greci, sopportando pesanti svalutazioni. La grande ristrutturazione del debito ellenico sta quindi per finire, ma i rischi di un deragliamento sono ancora elevati. Se non sarà raggiunto il 90% delle adesioni su carattere volontario, il governo cercherà di forzare le operazioni, imponendo le perdite agli obbligazionisti.
La conseguenza sarebbe uno scenario simile a quello dell’Argentina di dieci anni fa, che potrebbe far saltare il secondo pacchetto di aiuti internazionali da 130 miliardi di euro. E in quel caso, la via verso il primo fallimento sovrano nell’eurozona sarebbe spianata. Le ultime indiscrezioni che emergono parlano di un’adesione di circa il 76.6% dei 206 miliardi di euro di titoli governativi ellenici che fanno parte dello scambio. L’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria internazionale, ha comunicato che i suoi affiliati hanno aderito in toto allo swap. Fra essi, ci sono anche gli italiani Generali, Intesa Sanpaolo e UniCredit. Rimangono da sciogliere i nodi intorno alle società più piccole, come i fondi d’investimenti, i fondi pensione e gli hedge fund.
Sul fronte greco, le prime sei banche del Paese hanno aderito allo swap, ma c’è invece riluttanza fra i fondi pensione. Quattro di questi, fra cui quello dei poliziotti, hanno rifiutato di accettare i termini dell’accordo. Ieri il Ministero delle Finanze ellenico ha ribadito con una nota che «non ci sono fondi per chi non parteciperà allo scambio». Della serie: o accettate una perdita del 53,5% sul valore nominale dei bond che avete o noi dichiariamo default e non prendete alcun centesimo.
Nel caso non bastasse questa minaccia, sono pronte le Cac (Clausole di azione collettiva), speciali clausole retroattive in grado di forzare la ristrutturazione del debito. Queste però sono valide solo per i bond emessi sotto la legislazione ellenica, la maggior parte, ma non per quelli emessi sotto la legislazione inglese. Sta continuando infatti la corsa a capire chi ha questi 27 bond con legislazione internazionale, valore totale 18,5 miliardi di euro, per sapere se si opporrà o meno allo swap, portando in tribunale Atene.
Il quadro è però destinato a complicarsi nelle prossime ore. Se la partecipazione al Psi sarà inferiore al 75%, l’accordo sarà considerato deragliato e sarà compito della troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Ue mediare con il governo greco su come agire. Di contro se l’adesione allo swap sarà compresa fra il 75% e il 90%, Atene potrà decidere di attivare le Cac di comune accordo con le autorità internazionali.
In questo caso, sarà poi compito dell’International swap and derivatives association (Isda), l’organo che regolamenta le controversie sui derivati, decidere cosa fare coi Credit default swap (Cds), i derivati che immunizzano dall’insolvenza di un titolo. I Cds sul debito greco, secondo i dati della Depository trust & clearing corporation (Dtcc), valgono 3,24 miliardi di dollari. Poco, rispetto alla mole di debito facente parte dello swap. Molto, se si fa scattare il loro pagamento, dando il via al vero e proprio fallimento di Atene. «Tutti vogliono evitare che si parli di bancarotta». Le parole di un diplomatico italiano lasciano intendere che l’Ue non vuol far passare il messaggio che è avvenuto il primo default sovrano nell’eurozona.
A Linkiesta il diplomatico afferma senza troppi giri di parole che «l’obiettivo di riportare il debito al 120% del Pil nel 2020 è semplicemente irragionevole, specie considerando la disastrata economia greca, che non ha una forte base manifatturiera». Eppure ancora oggi il ministro greco delle Finanze, Evangelos Venizelos, ha ribadito che «solo con questo swap il debito potrà tornare al 120% entro 8 anni, riportandoci alla vita».
Quello che sarà dopo, ancora non è definito. L’Eurogruppo ha convocato una teleconferenza straordinaria per discutere dell’emergenza di Atene. Sul tavolo ci saranno anche due elementi nuovi: il terzo piano di salvataggio e il costo del default di Atene. Se sul primo non ci sono ancora certezze, dopo l’indiscrezione del giornale tedesco Der Spiegel, sul secondo non mancano i dettagli. Il quotidiano ellenico Athens News ha pubblicato un memorandum dell’Iif in cui si argomentavano gli effetti collaterali dell’eventuale default greco.
Oltre 1.000 miliardi di euro di impatto sull’eurozona, 160 miliardi di euro solo sulle spalle delle banche europee, un contagio esteso fino a Italia e Spagna, che avrebbero altra scelta che chiedere un sostegno finanziario al Fmi o all’Ue: sono questi i danni che potrebbe fare il fallimento della Grecia. Sia Bruxelles sia Washington vogliono evitare che si arrivi a questa soluzione, ma il tempo sembra essere contrario. Il peggio, tuttavia, potrebbe ancora arrivare. Il negoziatore di BNP Paribas, Jean Lemierre, ha spiegato a Le Monde che il risultato dello swap è ancora incerto. Se i fondi hedge sembrano essere convinti ad aderire allo scambio, restano da convincere ancora molti attori. Nella notte continueranno le telefonate del ministero del Tesoro ai possessori di bond greci, almeno quelli noti. L’obiettivo è raggiungere il 90% dell’adesione, entro domattina, per evitare che qualcuno possa opporsi alle Cac. In caso contrario, il peggiore degli incubi di Atene potrebbe diventare realtà.
Twitter: @FGoria