Egitto, la prossima rivoluzione la faranno gli ultrà

Egitto, la prossima rivoluzione la faranno gli ultrà

Il 1°  febbraio scorso il calcio egiziano ha vissuto la pagina più drammatica della sua storia: 74 morti e decine di feriti in seguito agli scontri tra due tifoserie di el Ahly e al Masri, a Port Said. Un’ecatombe. Una violenza inaudita. Giovani strozzati, picchiati a morte, gettati dagli spalti, calpestati. Un evento che ha cambiato e sta cambiando il calcio egiziano. E non solo. Quello che sembra chiaro è che si sia trattato di un piano preordinato. Delinquenti infiltrati, cancelli dello stadio chiusi e luci improvvisamente spente, assenza di intervento e controllo da parte della polizia, come hanno raccontato fra le lacrime alcuni dei sopravvissuti.
Un giovane 18 enne, un ultrà di el Ahly, presente alla commemorazione di un tifoso ucciso, racconta con voce strozzata: «Sapevamo che ci odiavano, ma non fino a questo punto, al punto di gettarci giù dagli spalti… e la Polizia ha chiuso le porte e gli ha permesso di attaccarci, di uccidere i nostri amici in modo crudele».
Il ragazzo sostiene si trattasse di ultras di al Masri, non di delinquenti perché durante l’assalto e la carneficina imponevano agli avversari di togliersi al maglietta: per gli ultras è la peggior sconfitta, l’umiliazione massima, al pari di perdere la sciarpa o la bandiera.

Emad Youssef, giornalista sportivo del canale Tv El Horra Sport, presente a Port Said e che da anni segue il calcio egiziano, invece ha pochi dubbi: un piano preordinato e con l’infiltrazione di criminali tra le fila degli ultras di al Masri.
Youssef racconta un episodio su tutti che ne è la prova: «Tra un tempo e l’altro vi furono avvisaglie che la situazione non era sotto controllo. Invasioni di campo da parte di ragazzi dalla curva di al Masri. Alcuni di loro hanno avuto un battibecco con i giocatori proprio di el Masry, senza riconoscerli. Come può un tifoso non conoscere i giocatori della propria squadra?». C’era gente mai vista allo stadio quel giorno.
C’è chi punta il dito sulla Giunta militare, chi sulle responsabilità della Polizia e del Ministero dell’Interno. Ma perché permettere una strage simile? Per creare disordine, caos, terrore. Per giustificare la propria presenza sulle strade, per dividere gli egiziani, si è detto da più parti. Altri puntano il dito sulla Polizia che ha un conto aperto, da anni, con gli ultras di el Ahly. «Si è trattato di una vendetta», sussurra qualcuno al Cairo. Ma la tragedia di Port Said ha avuto conseguenze inaspettate.

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Khelid Bauomy, opinionista televisivo molto noto nel paese, fotografa così la situazione: «Ora gli Ultras egiziani sono più uniti che mai, i “White Knights” di Zamalek e gli ultras di el Ahly e di tutte le città egiziane, nel chiedere giustizia e sono di certo una nuova forza nel panorama sociale egiziano. Se qualcuno voleva dividere l’Egitto, non ci è riuscito, anzi ha ottenuto il contrario! Gli Ultras sono giovani, molto spesso di buona cultura, studenti, ingegneri, professionisti. Sono molto organizzati, hanno regole ferree, anche di comunicazione. Solo pochi possono parlare con i media. I soli ultras di el Ahly sono 220 mila. L’intera tifoseria conta tra i 40 e i 50 milioni di giovani e non (forse la più grande tifoseria al mondo concentrata in un solo paese). Ma ora è nata una nuova forza nel paese: sono gli ultras per l’Egitto».

Gli Ultras egiziani, paragonati ai colleghi europei sono un movimento giovane: nascono nel 2005, ispirandosi agli hooligans inglesi, agli ultras italiani e alle agguerrite tifoserie tunisine.
In pochissimi anni si strutturano e crescono in maniera esponenziale, attirando soprattutto giovani e giovanissimi egiziani.
Ora, dopo la tragedia, quasi tutti i partiti politici, rappresentanti dei Salafiti e dei Fratelli musulmani in testa, li hanno “nel mirino”, consapevoli della loro importanza e cercano di avvicinarsi, di strumentalizzarli. Specie in vista delle elezioni presidenziali.
«Già da tempo cercavano di infilarsi tra gli spalti, ora citano Port Said nei loro discorsi pubblici, promettono giustizia, concedono la loro compassione. Ma gli ultras tirano dritti per la loro strada. Per loro esiste solo il calcio e la passione per la loro squadra. Sanno che i politici usano parole buone per farseli amici, ma i ragazzi sono intelligenti, lo hanno capito», chiosa Bauomy. Il calcio è lo sport principe in assoluto nel Paese. Il movimento ultras è una forza centripeta che accoglie giovani egiziani di ogni fede. E i tifosi “semplici” seguono il nocciolo duro degli Ultras.

Iuri, uno dei leader e tra i fondatori degli Ultras di el Ahly, un ragazzo dalla stazza imponente mette in luce la natura aperta e interconfessionale del gruppo: «Tra gli ultras di el Ahly puoi trovare cristiani, musulmani, salafiti, ogni distinzione viene a cadere nel nome della nostra squadra».
Quello degli Ultras è un movimento che muove milioni di persone. Che ha visto alcuni dei suoi ragazzi impegnati in prima fila in piazza Tahrir, grazie all’esperienza di tecniche di guerriglia contro le forze di sicurezza: «Sì, abbiamo dato forza ai giovani rivoluzionari, perché sappiamo come muoverci, perché conosciamo la Polizia, da anni», conferma Iuri. «Ma si è trattato di partecipazioni individuali, non come gruppo. Nessuno ha fatto sventolare la bandiera della squadra o ha indossato una maglia di el Ahly a Tahrir».

Tra le caratteristiche del movimento ultras c’è la forte contrapposizione alla polizia e alle forze di sicurezza, fin dal tempo di Mubarak. «La polizia ordisce piani contro di noi da tempo – spiega ancora Iuri – ci arresta senza motivo, ora sono riusciti a uccidere settanta persone. In questo senso è un nostro nemico. Ma la nostra risposta è sempre una reazione a un uso ingiustificato della forza da parte loro. Ora noi chiediamo giustizia per i compagni morti».
Intanto il calcio vive le sue conseguenze: campionato bloccato e inchieste, e due giocatori di el Masri, provenienti da el Ahly ma in prestito, hanno rescisso il contratto e non prendono più parte agli allenamenti. «Dopo quello che è accaduto non me la sento di tornare a Port Said», ha detto il giovane calciatore Mahmoud Touba che, insieme al collega Saad Samir, ha deciso di non vestire più la maglia di al Masri. Li incontro in un hotel vicino all’aeroporto del Cairo dove una delegazione di ultras di el Ahly ha incontrato i giocatori di al Masri. Solidarietà è la parola d’ordine di questi giorni.

Conseguenze dentro e fuori del campo: cortei di fronte al ministero dell’interno hanno chiesto giustizia per i morti di Port Said. Allo stesso tempo hanno ribadito l’insofferenza di una larga parte della società egiziana per la giunta militare e per i poteri forti che ancora sopravvivono nel post Mubarak. A Tahrir nei giorni scorsi le bandiere di el Ahly sventolavano, assieme alle foto dei ragazzi uccisi a Port Said e insieme ai martiri della rivoluzione. Tra i murales attorno alla piazza, ora compaiono anche i volti di chi ha trovato la morte nello stadio. Gli ultras sono pronti a dare voce al disagio strisciante. E a dare nuovamente un calcio al passato. 

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