Sicuramente non è il nuovo Silvio Berlusconi, probabilmente non sarà il futuro presidente del Consiglio. Eppure Angelino Alfano sta dimostrando di sapere il fatto suo. Insomma, all’ex Guardasigilli mancherà pure quel quid di cui parlava recentemente il Cavaliere. Ma nell’ultima settimana il segretario del Pdl sembra aver consolidato la sua leadership. Infilando una serie di inattesi successi politici.
Anzitutto sul fronte delle amministrative. Senza un accordo con la Lega al Nord e con l’Udc al Centro-Sud, alle elezioni di maggio il Pdl rischiava di rimanere con le spalle al muro. Costretto a un’inevitabile e clamorosa sconfitta (tanto da spingere il Cavaliere a proporre la sostituzione del simbolo di partito con una lista civica nazionale). Negli ultimi giorni Alfano ha probabilmente evitato il tracollo. Almeno in due delle principali città al voto: Palermo e Verona. In Sicilia e in Veneto il segretario è riuscito a strappare un accordo in extremis con i centristi di Pier Ferdinando Casini. A Palermo – terra natale del delfino di Berlusconi – il Pdl sosterrà Massimo Costa insieme a Udc e Grande Sud (qui Alfano è riuscito persino a frantumare il Terzo polo, costringendo Futuro e Libertà a uscire dall’alleanza). A Verona il Pdl appoggerà il candidato scelto da Fini e Casini: il vicepresidente Unicredit Luigi Castelletti. Palermo e Verona. Una doppietta che ha stupito anche i detrattori del segretario (e nel Pdl ce n’è più di qualcuno). «Alle amministrative, specie al Nord, il partito andrà comunque male» racconta un deputato berlusconiano che non ha mai troppo amato Alfano. Che subito dopo, però, riconosce: «Devo dare atto al segretario che è riuscito a limitare il rischio di un disastro totale».
Sicilia, Veneto. Ma è a Roma che il segretario Pdl ha ottenuto il successo più importante. Giovedì sera i leader dei tre principali partiti torneranno a confrontarsi a Palazzo Chigi. Il premier Monti ha convocato una nuova riunione per discutere dell’agenda di governo, della riforma del lavoro, di questioni internazionali. Ma anche di giustizia e Rai. I due argomenti che non più tardi di una settimana fa avevano spinto Alfano a disertare l’ultimo vertice di maggioranza. E così, dopo una breve fase interlocutoria, il presidente del Consiglio riporta Pd, Pdl e Terzo Polo al tavolo delle trattative. Senza subire veti o preclusioni. Monti l’ha spuntata e Alfano è stato costretto a un’imbarazzante retromarcia? Non proprio. «La scorsa settimana – spiega un fedelissimo berlusconiano – il segretario ha abbandonato il vertice mostrando di avere coraggio. Ora sta seguendo la strategia già indicata dal Cavaliere: sosterrà il governo per poterne meglio condizionare l’azione». E proprio sulla questione Rai il segretario Pdl potrebbe ottenere un importante risultato.
Stando alle indiscrezioni che girano a Palazzo, il governo avrebbe deciso di non riformare la governance della tv pubblica. Almeno per ora. Le prossime nomine del Cda saranno fatte secondo le norme vigenti, come chiedono i berlusconiani. Lo ha confermato anche il ministro dello Sviluppo Corrado Passera: per modificare la legge Gasparri non c’è tempo. Sarà il Parlamento – attraverso la commissione di Vigilanza Rai – a scegliere sette dei nove consiglieri (l’ottavo e il presidente sono espressione del Tesoro). Il tempo a disposizione è effettivamente limitato: il consiglio di amministrazione scade il prossimo 28 marzo. E di fronte alle resistenze del Pdl, l’Esecutivo non sembra avere alcuna intenzione di forzare la mano.
Nella trattativa su Viale Mazzini Angelino Alfano ha trovato un importante alleato nell’Udc di Casini. Prove generali di una futura intesa? È presto per dirlo. Ma certo le aperture del capogruppo centrista in Vigilanza Roberto Rao – che ha invitato i democrat a partecipare alle nomine nel rispetto della legge Gasparri – non sono sfuggite quasi a nessuno.
Non è tutto. Il confronto sulla televisione pubblica rischia di aprire una crepa nel rapporto tra governo e Partito democratico. A tutto vantaggio del Popolo della libertà. Di fronte all’ipotesi di una mancata riforma, il Pd è pronto a fare le barricate. Il segretario Bersani l’ha ripetuto più volte: se non si cambia il sistema, il suo partito non parteciperà al voto sul Cda Rai. «Non ci crede nessuno – racconta un dirigente democrat – in particolare chi sta al governo. Ma sulla Rai noi facciamo sul serio. Monti sta sottovalutando la situazione».
È facile immaginare l’imbarazzo dei commensali quando giovedì sera al tavolo di Palazzo Chigi arriverà la portata più indigesta. La riforma della Rai. Di fronte al disinteresse di Pdl e Udc («Se qualcuno ne vorrà parlare – ha confermato poco fa Alfano – ne parleremo. Se faremo in tempo»), il presidente Monti potrebbe trovare l’ostinazione del Pd. E non c’è nomina che possa rasserenare il clima. «Niente da fare – continua il dirigente Pd – Se prima non si parla di riforma della governance, Bersani rifiuterà di confrontarsi su qualsiasi nome».