Grazie ai derivati la Grecia è un po’ più tranquilla di prima

Grazie ai derivati la Grecia è un po’ più tranquilla di prima

Alla fine i Credit default swap funzionano. I derivati finanziari che proteggono dal fallimento di un titolo, più volte osteggiati per via della loro opacità, hanno oggi avuto la loro giornata da protagonisti. Infatti si teneva oggi l’asta dei Cds sulla Grecia, dopo la colossale ristrutturazione del debito avvenuta due settimane fa. Su un valore netto complessivo di circa 3,2 miliardi di dollari, i rimborsi sui Cds ellenici sono stati per 2,55 miliardi, il 78,5% del valore complessivo. Merito del default ordinato di cui è stata oggetto Atene.

L’asta dei Cds sul debito greco si è tenuta nel modo più tranquillo possibile. Uno di fronte all’altro venditori e compratori. Dal lato degli offerenti, 14 banche: Bank of America, Barclays, BNP Paribas, Citigroup, Credit Suisse, Deusche Bank, Goldman Sachs, HSBC, J.P. Morgan Chase, Morgan Stanley, Nomura, Société Générale, Royal Bank of Scotland e UBS. Dal lato dei richiedenti, quelli che hanno comprato i Cds sulla Grecia. L’incontro fra domanda e offerta determina il prezzo di rimborso dei singoli contratti derivati. Le aste sono due, come specificato nel regolamento di Markit e Creditex. La prima, conclusa alle 12:00 ore italiane, è servita per avere un’indicazione di massima, mentre la seconda, terminata alle 16:30, ha determinato i rimborsi. E quest’ultimi sono stati inferiori rispetto alle attese. Non poteva essere altrimenti. Questo perché in Grecia è avvenuta una ristrutturazione del debito, equivalente a un default ordinato. Questo è infatti stato il responso dell’International swap and derivatives association (Isda), l’organo che disciplina le controversie sui derivati. Ma per capirlo bisogna fare un passo indietro.

I Cds funzionano come delle assicurazioni. In genere hanno durata quinquennale e dietro al pagamento di un premio annuale, riducono il rischio d’insolvenza di un emittente di obbligazioni. In altro parole, proteggono dal fallimento. Se un soggetto ha in portafoglio un titolo di Stato greco per un valore di 10 milioni di dollari e teme per il suo completo rimborso, può comprare un Cds. Pagando una cifra annuale proporzionale al rischio insolvenza, quindi più alta se il Paese è vicino al default sovrano, il compratore di Cds può mitigare gli effetti di un fallimento.

Come successo per la Grecia quasi due settimane fa, ci devono essere i requisiti minimi per il pagamento dei Cds. Deve esserci quello che in gergo tecnico si chiama trigger, che deve essere riconosciuto dall’Isda, l’International Swaps and Derivatives Association. E, per Atene, tale molla scatenante è stata l’introduzione delle Clausole di azione collettiva (Cac), le speciali clausole con cui il governo ellenico ha forzato l’adesione dei creditori privati allo swap di debito pubblico. Senza le Cac, infatti, non si sarebbe raggiunta la soglia limite, fissata al 95%, per dare il via al secondo programma di aiuti internazionali. Tuttavia, le Cac sono state un elemento di innovazione delle obbligazioni, dato che hanno avuto valore retroattivo. La conseguenza è stato un evento creditizio ordinato. «Molto meglio questo piuttosto che un mancato rimborso dei bond alla scadenza», spiega un trader della divisione Fixed income di Royal Bank of Scotland.

Quello che ha caratterizzato questa asta è il fatto che in Grecia è avvenuta una ristrutturazione del debito, equiparabile a un default ordinato, e non un hard default. Come spiega a Linkiesta un operatore sui Cds di Société Générale, «nel caso di un evento disordinato, il settlement sarebbe stato molto più complicato da gestire». Invece, tutto è andato secondo le aspettative. E dire che nei giorni scorsi c’è stato il timore di sorprese. Alphaville, il blog finanziario del Financial Times, aveva ravvisato alcune incongruenze fra il valore nozionale netto, 3,2 miliardi di dollari, diramato dalla Depository trust & clearing corporation, la principale clearing house per i Cds, e gli acquisti di questi strumenti poco prima del completamento dello scambio di titoli. Alla fine, a fronte un valore nozionale lordo di 70 miliardi di dollari, il netto da regolare durante l’asta è stato, per l’appunto di 3,2 miliardi.

Ma come si è arrivati al rimborso del 78 per cento? Perché è avvenuta la ristrutturazione del debito, che ha portato allo scambio di titoli. I nuovi bond, con scadenza trentennale, sono stati emessi dal Tesoro ellenico in cambio di quelli vecchi, su cui c’erano attivati i Cds. E dato che le nuove obbligazioni valgono circa 21,5 cent, era questo il parametro su cui basarsi per l’asta. È andata bene, dato che nel complesso si è raggiunto il 100% del rimborso del Cds, misto fra bond e pagamento post-asta.  

Per Atene però si è chiuso solo un’altro atto della tragedia in cui è piombata. La finalità ora è quella di riuscire a rispettare il secondo programma di sostegno curato da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Ue. L’obiettivo è permettere alla Grecia di tornare sui mercati obbligazionari nel corso del 2015, come disse il capo missione del Fmi Poul Thomsen la scorsa settimana. Una sfida che sembra insormontabile senza un terzo bailout, già nell’aria. 

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