In una caotica serata primaverile si è concluso ieri al Teatro Franco Parenti il viaggio di anteprime letterarie per il rilancio, dopo tredici anni, della collana Sis (Scrittori Italiani e Stranieri) di Mondadori. Inaugurata con Alessandro Piperno e proseguita con gli interventi di Paolo Giordano e del giallista Carlos Ruiz Zafón, l’iniziativa ha coinvolto per l’ultimo appuntamento anche il grande romanziere israeliano David Grossman e Margaret Mazzantini.
Dalla lettura di due brani, tratti per Mazzantini dal recentissimo Mare al mattino e per Grossman da Che tu sia per me il coltello, si è avviato un raffronto parallelo e mediato dal responsabile della narrativa italiana e straniera di Mondadori, Antonio Franchini. Una sequenza di domande a partire dalle origini e dal rifiuto comune ai due autori dell’autoreferenzialità. Se Mazzantini ha rievocato un’infanzia selvaggia nella campagna romana, per Grossman l’incipit della scrittura è stata una macchina da scrivere utilizzata dalla madre per svolgere un secondo lavoro. Da un lato la follia e l’esperimento della natura, dall’altro una casa israeliana abitata da due genitori pragmatici fino al riconoscimento effettivo di un posto nel mondo. Una consapevolezza o dono materializzato in un testo e arrivato talvolta a rimediare alla vita.
Uno scambio continuo e spesso inatteso tra finzione e realtà è inoltre prova dello sguardo di chi scrive con l’urgenza, teorizzata da Grossman, di osservare il mondo con gli occhi del nemico. La noia del conoscersi e riconoscersi spinge l’autore a muoversi fuori da sé, penetrare quella rete di relazioni di cui tratta Calvino nelle Lezioni americane a proposito della molteplicità e del garbuglio del mondo di fronte a cui ogni romanzo è come un’enciclopedia aperta. Ciò implica uno sforzo di tolleranza, un’improvvisazione per lasciarsi invadere dalla “grammatica interiore” di ciascun personaggio e assumersi la responsabilità delle sue miserie. È il caso dei protagonisti spesso diseredati di Mazzantini, che da uno stato d’animo di fame del racconto parte per voler raccontare altro dalla propria vita “molle” e affannosamente famigliare, del tutto contraria all’allerta quotidiana in Israele.
Una o più prove che si moltiplicano necessariamente in voci narranti di altro sesso: in Non ti muovere Mazzantini parla attraverso Timoteo e con uguale temerarietà scandaglia le ombre di Diego in Venuto al mondo, romanzo che abbraccia in più la guerra vicina di Sarajevo. Questo il privilegio, secondo la scrittrice, di adottare una sorta di presunzione infantile e umiltà da rabdomante per raccogliere più vite alternative, agendo come sminatori di un campo. Anche per Grossman non è stato un esordio scegliere una protagonista femminile come Orah di A un cerbiatto somiglia il mio amore, perché testimone del ruolo primigenio della femminilità e calamita per il romanziere liberatosi nel frattempo di molte sovrastrutture.
Viene in mente il densissimo Romanzieri ingenui e sentimentali di Orhan Pamuk, dove l’autore turco come Calvino discute sia di un atto di scrittura che mira a dipingere con le parole, sia degli scrittori divisi tra coloro che accolgono la parzialità della propria finestra senza farsi domande, e vengono perciò definiti ingenui, e coloro che si mostrano in perenne dibattito sul centro del romanzo venendo definiti sentimentali. L’ideale misura tra ingenui e sentimentali determina forse quella polivalenza e tessitura di combinazioni che Grossman ricerca per curiosità e Mazzantini per nostalgia. Quella sensibilità alla grazia del mondo secondo Coleridge e motivo perenne di domande, trappole, cervelli che bollono per sfiorare la massima autenticità, seppur non fatta di carne e sangue.
E sempre di sguardo, sguardo già politico sul diverso e seconda vita letteraria forse più vera di quella reale, si tratta infine quando Mazzantini e Grossman affrontano gli universali di guerra e amore. Per Mazzantini la guerra è stata un viaggio a Sarajevo per vedere, perché quello era il primo compito, per Grossman un fatto tangibile. Si profila oggi il rischio di un conflitto tra Israele e Iran, ed è ancora più indispensabile esercitare pressioni economiche, dimostrare compattezza internazionale e distinguere tra quegli iraniani laici e oppositori e una leadership che non si rende amabile al mondo. È necessario guardare a molti iraniani come a degli alleati futuri e, come per lo scrittore è vitale sperimentare quello stato di “transitorietà invisibile” in ogni personaggio, diventa altrettanto irrinunciabile per le nazioni cooperare per non accendere il fuoco di una vendetta preventiva.