Le banche non possono diventare degli enti no profit per decreto. In buona sostanza è questa la motivazione che ha spinto il comitato direttivo dell’Abi, la lobby degli istituti di credito italiani guidato da Giuseppe Mussari, a rassegnare le dimissioni, rimettendo il mandato nelle mani del consiglio esecutivo di Palazzo Altieri. Il motivo della clamorosa azione di protesta riguarda la parte del decreto liberalizzazioni che annulla le commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito. E che, viceversa, non individua in quali casi siano applicabili le commissioni sul credito a imprese e famiglie. Il nuovo quadro normativo, tranne l’esenzione che riguarda le pensioni fino a 1.500 euro, è stato bollato da Mussari come «una sanzione» per le banche. «Tutti gli investimenti di tutte le imprese bancarie e tutte le imprese sono a rischio a causa della stretta sulle commissioni bancarie» ha aggiunto il presidente del Monte dei Paschi di Siena.
Non è la prima volta che l’Abi si schiera contro il provvedimento, ma stavolta il gesto è clamoroso e pure controproducente. Se da un lato chiedere alle banche di rivoluzionare il proprio modello di business dall’oggi al domani è arduo, dall’altro è un fatto che le spese sopportate dai consumatori italiani per la gestione di un conto corrente sono tra i più elevati d’Europa. A dirlo è la Commissione europea, che in uno studio pubblicato alla fine del 2010 stimava questi costi in 235 euro l’anno, contro i 46 dell’Olanda. Dati contestati da Palazzo Altieri, che stimava l’esborso in 114 euro l’anno: meno di quanto calcolato da Bruxelles, ma comunque più del doppio di Amsterdam.
L’altra nota dolente è la stretta al credito concesso alle imprese. Al Forex di Parma il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha evidenziato il crollo verticale dei prestiti a dicembre (-20 miliardi) e ha puntato l’attenzione, utilizzando le stesse parole di Draghi nel 2009, sull’importanza di una gestione «sana e prudente, con acuita capacità selettiva» del credito. In altre parole: bisogna saper fare i banchieri. Tanto alla luce del miliardo di euro di liquidità all’1% somministrato alle banche comunitarie proprio da Mario Draghi, in una delle sue prime mosse da presidente della Bce, quanto al netto delle logiche di salvaguardia degli equilibri sistemici, in virtù dei quali agli amici il credito viene erogato e pure a buon mercato. Finora le banche hanno utilizzato i fondi prelevati da Eurotower per pulire il bilancio dagli strumenti ibridi non più conteggiabili nel patrimonio di vigilanza alla luce delle nuove regole di Basilea III. Giusto, hanno commentato alcuni operatori. Ora sarà la volta dell’economia reale?
Questo lunedì, assieme al ministro Passera, al viceministro dell’Economia Vittorio Grilli, e alle associazioni di categoria, l’Abi ha siglato la nuova edizione della moratoria al credito per le Pmi. Uno strumento, si legge sul comunicato stampa che «ha consentito di lasciare a circa 260mila imprese 15 miliardi di liquidità a disposizione dell’economia reale». È del 10 febbraio, invece, l’accordo con Confindustria e Borsa Italiana per sostenere la crescita delle Pmi attraverso la quotazione e lo sviluppo del segmento Aim, mercato a loro dedicato.
La protesta di oggi stride con queste iniziative, ma politicamente rappresenta un grosso favore al governo Monti: una potente lobby mostra i muscoli contro un Presidente del Consiglio accusato da sempre di essere troppo vicino agli istituti di credito. Questione di punti di vista: «Non accetteremo più un atteggiamento così avverso all’impresa bancaria» ha detto invece Mussari nel corso della conferenza stampa di poche ore fa, una presa di posizione strana nei confronti dell’esecutivo dei banchieri. In base all’art. 15 dello Statuto dell’Abi, il mandato del presidente, rieleggibile una sola volta, ha durata biennale: il numero uno di Mps, nominato al vertice di Palazzo Altieri il 15 luglio 2010, scade tra qualche mese, mentre ad aprile uscirà da Rocca Salimbeni. Un particolare non secondario, ma che di fatto non cambia la sostanza di un gesto clamoroso che, come ha detto poco fa Corrado Passera, è «sintomo di disagio».
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