Sono bastati due giorni per far tornare lo spettro dello spread sull’Italia. E dire che ieri il presidente del Consiglio Mario Monti aveva rimarcato che «la crisi dell’area euro è quasi finita». Semmai, è il contrario. L’eurozona è entrata in una nuova fase nel complicato rapporto con gli investitori, sempre più spazientiti. Dopo mesi di attesa, ora i mercati finanziari attendono risposte. E le attendono dall’Ue, dalla Spagna e dall’Italia, dove intimorisce il triste balletto politico intorno alla riforma del lavoro.
Ma cosa è cambiato rispetto alle ultime settimane? In primis non v’è certezza che la rete di protezione per l’eurozona, il cosiddetto firewall, prenda la forma sperata. Nel vertice europeo in corso a Copenhagen l’obiettivo è solo uno: ridare credibilità internazionale. Solo così si sbloccheranno gli esborsi del Fondo monetario internazionale (Fmi) e quelli degli investitori istituzionali statunitensi e asiatici. Date le ultime indiscrezioni, c’è poco da stare allegri. Invece che un fondo ad hoc, l’eurozona prende la direzione più dozzinale. Il fondo salva-Stati temporaneo, lo European financial stability facility (Efsf) da 440 miliardi di euro, lavorerà in collaborazione con quello permanente, lo European stability mechanism (Esm) da 500 miliardi. Ma non bisogna pensare che il valore reale del firewall sia 940 miliardi di euro, cioè Efsf più Esm, dato che a questi vanno sottratti gli esborsi per Grecia, Irlanda e Portogallo. La dotazione quindi scende a 700 miliardi di euro, meno di quanto immaginato dagli operatori e dal Fmi. Dal vertice di Copenhagen non sono attese sorprese, complice l’ostracismo della Germania a soluzioni più forti e complice la mancanza di risorse finanziarie reperibili nel breve termine. In altre parole, bisogna arrangiarsi con ciò che si ha. E questo non basta a placare il nervosismo dei mercati.
Non c’è solo il fondo a protezione dell’eurozona a intimorire gli investitori. La Spagna, dopo un periodo di tranquillità seguito all’elezione di Mariano Rajoy alla Moncloa, ha mostrato il fianco al contagio della crisi. Colpa di un deficit impazzito che sfora i limiti messi dalla Commissione europea a Madrid, di un sistema bancario in piena ristrutturazione e di una disoccupazione che non accenna a diminuire. Più che mai la Spagna rischia di essere risucchiata nel circolo più profondo della crisi e questo la lega indissolubilmente al futuro dell’Italia. Basti pensare che una delle maggiori banche del Paese, Bankia (ex Caja Madrid), da gennaio a fine febbraio si è imbottita di titoli di Stato italiani per poterli presentare come collaterale alla Banca centrale europea (Bce) nelle due operazioni di rifinanziamento a lungo termine che hanno ridato ossigeno al sistema interbancario della zona euro.
Infine, la questione più paradossale. Gli investitori, dopo un iniziale periodo di fiducia, stanno perdendo la pazienza nei confronti di Monti. Dopo esser stati attendisti sulla riforma delle pensioni, sulle liberalizzazioni e sulle misure a favore della crescita economica, stanno dando l’ultimatum informale sulla riforma del lavoro, considerata cruciale per il rilancio di un sistema considerato troppo obsoleto e poco flessibile rispetto alle compagini europee. Non solo. Cresce la preoccupazione in riferimento al passaggio parlamentare della riforma del mercato del lavoro.
L’impressione negli ambienti internazionali, inoltre, è che sta aumentando il solco fra Monti e la politica italiana. Se vista dall’interno può essere un elemento positivo per il processo di consolidamento fiscale che ha intrapreso Roma, vista dall’esterno la vicenda assume un’altra piega. Il pensiero va al 2013, quando l’incertezza sarà totale. Non si sa se l’eurozona avrà le spalle coperte dal fondo salva-Stati, ma soprattutto non si sa se l’Italia riuscirà a continuare il suo percorso.
Oggi la curva dei rendimenti dei titoli di Stato è stata al rialzo su tutte le scadenze. Dai bond a due anni, passando per i cinque anni e finendo coi decennali, tutti i tassi d’interesse sono risultati in aumento. Nascondersi dietro a un dito non serve. Non è solo colpa dell’Italia, ma se Monti non mette in campo misure concrete entro l’inizio dell’estate, si potrebbero ripresentare le scene isteriche dello scorso luglio, con Roma sotto la pressione delle vendite sui titoli di Stato. Del resto, non bisogna dimenticarsi che, da dicembre a oggi, la Bce ha fornito liquidità illimitata all’universo bancario per tre anni, sostenendole nel rifinanziamento del debito esistente in portafoglio.
Più che del presente, i mercati sono impauriti dal futuro. Come ha ricordato più volte il cancelliere tedesco Angela Merkel, questa crisi non si risolverà in breve tempo. Per farlo serviranno scelte impopolari, riforme strutturali e sacrifici condivisi. Fino a quando non ci saranno, i giochi di prestigio dei governi e degli euroburocrati saranno dimenticati velocemente dagli investitori.