I suoi elettori si scoprono poveri, la Merkel scopre il salario minimo

I suoi elettori si scoprono poveri, la Merkel scopre il salario minimo

Il numero dei disoccupati in Germania è in continua discesa. È da due anni che il ministro per il Lavoro, la cristianodemocratica Ursula von der Leyen, può presentarsi davanti alle telecamere con dati sempre positivi. Alla fine del 2011 i disoccupati erano 2,8 milioni. Certo in gennaio, il numero è salito di 300mila unità, ma si tratta di un dato condizionato dalla stagione (il settore edile, per esempio, è fermo in invero). Insomma, l’anno scorso ben 1,3 milioni di persone avevano trovato lavoro facendo scendere il tasso disoccupazione al 5,5 per cento. Ovvio dunque, che il governo italiano intenda seguire il modello tedesco della riforma del mercato del lavoro, per riavviare il motore nel nostro paese. Un modello che però costò il posto a chi aveva introdotto la riforma, cioè all’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder.

E forse proprio per questo, il premier italiano Mario Monti, alla domanda se sarebbe disposto guidare anche una futura coalizione di governo risponde sibillino: “Non so se se i partiti, dopo la cura attuale, mi vorranno veramente a capo di un esecutivo”. Ma tornando alla Germania: nel 2005, la disoccupazione era ancora a livelli stratosferici, oltre la soglia dei 5 milioni, e gli esperti in materia insistevano nel consigliare ai politici di dire finalmente come stavano le cose. E cioè che la piena occupazione, come si era sperimentata negli anni del miracolo economico tedesco, dove addirittura si facevano venire lavoratori dall’estero (i famosi Gastarbeiter, italiani, turchi, greci) era ormai un miraggio: informatizzazione, globalizzazione, non la permettevano più.
E invece, come per tante altre analisi fatte in questi anni di crisi mondiale, finanziaria, economica e dell’eurozona, sono stati smentiti.

Oggi i politici tedeschi guardano di nuovo fiduciosi verso la meta della piena occupazione. Alla fine dello scorso anno ben 41,47 milioni di tedeschi avevano un lavoro. Anzi, c’erano e ci sono ancora ben 919mila posti che attendono di essere occupati da lavoratori specializzati. Un successo indiscutibile, da ricondurre, e lo fa onestamente (almeno quando non è in campagna elettorale), anche la Kanzlerin Angela Merkel alle riforme che costarono il posto al suo predecessore: l’accorpamento dell’assegno di disoccupazione con quello di sussistenza teso a disincentivare la scelta di non cercare nemmeno più un lavoro; una decisa incentivazione dell’occupazione giovanile (grazie anche al modello di apprendistato che contempla preparazione teorica e pratica in un unico pacchetto); una maggior flessibilità in entrata e uscita.

Ma, c’è un ma, in questa corsa trionfale del modello tedesco. Un ma che negli ultimi mesi è stato sempre più spesso sottolineato. Anche nel paese della politica di mercato sociale (con l’accento in questo caso sul sociale, che vuol significare eguaglianza e pari opportunità), sempre più persone, molte occupate full time, fanno fatica ad arrivare, con un salario orario medio attorno ai 9,15 euro lordi, pari a 6,5 euro netti, a fine mese. Come in Italia, anche in Germania, la flessibilità del mercato del lavoro, ha incentivato fortemente i lavori a tempo determinato e soprattutto quello interinale, che conta di nuovo 900mila impieghi, di cui due terzi nel settore dei salari bassi. Nell’insieme poi, circa la metà dei nuovi impieghi a tempo pieno si trova in questa fascia retributiva. Come spiegava la Süddeutsche Zeitung, se nel 1999 uno su sei lavoratori a tempo pieno faceva parte della categoria dei salari bassi, nel 2010 già un lavoratore su cinque dei vecchi Länder (quelli della Germania dell’ovest), guadagnava meno di 9,76 euro lordi l’ora, mentre nei nuovi Länder (quelli della ex Ddr) – dove il livello salariale è da sempre più basso – percepiva meno di 7,03 euro l’ora lordi.

In totale sono circa 21 e passa milioni di tedeschi che rientrano in questa fascia. Molti e indubbiamente costituiscono un potenziale pericolo in vista delle prossime elezioni politiche dell’autunno 2013. Angela Merkel lo sa, e vista la sua oculatezza nel prendere decisioni il problema lo studia da tempo. E così già durante l’ultimo congresso del partito, tenutosi in novembre a Lipsia, ha voluto che la base si esprimesse a favore, cosa che i delegati hanno fatto, di un salario minimo, senza però stabilirne per il momento l’entità. Una decisione che, giustamente tutti hanno sottolineato essere, molto socialdemocratica. Ma Merkel, come si sà, non ha tempo per battibeccare, e nemmeno per attardarsi in riflessioni, per lo meno interne sulle sue giravolte.

Già perché sempre a Lipsia, nell’ormai lontano 2003, aveva sollecitato il partito ad andare nella direzione esattamente opposta: allora aveva affermato che il salario minimo non sarebbe mai stata un’opzione per i cristianodemocratici. Ma quelli erano i tempi del sogno neoliberista, spazzato via dalle varie crisi di questi ultimi anni. Ora sarà interessante capire, qual è la soglia minima di salario per la Cdu. E probabilmente non si dovrà aspettare nemmeno più di tanto. La campagna elettorale, per quanto non ancora ufficialmente, dovrebbe iniziare già dopo l’estate.  

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