In uno dei primi numeri de L’Unità, il settimanale che Gaetano Salvemini fonda alla fine del 1911, convinto che in Italia occorra costruire una cultura politica per le riforme che superi e scombini gli assetti congelati degli schieramenti consolidati politici, Giustino Fortunato (1848-1932) interviene sulla natura della classe politica e sulla composizione del Parlamento.
Il momento è dei più significativi: è appena scoppiata la guerra italo-turca e il tema all’ordine del giorno è chi comanderà politicamente nel Paese.
Tuttavia, ancora non c’è una classe politica in grado di esprimere quel progetto. Si formerà lentamente con la guerra e la scommessa di Salvemini, pur fondata su un’intuizione corretta, sarà perduta.
Giustino Fortunato
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… oggi come oggi la Camera italiana è, in grandissima maggioranza, costituita da uomini nati ed educati dopo il ’60, rappresentanti la media e piccola borghesia, per il maggior numero avvocati esercenti: personalmente colti, personalmente quasi tutti onesti, e tutti, proprio tutti dotti del senso della realtà, molto più equilibrati e molto più moderati di quanto sia mai dato immaginare – ognuno più colto e più onesto e più chiaroveggente della media di coltura e di onestà e di chiaroveggenza del proprio collegio elettorale; ma tutti, assolutamente tutti non desiderosi d’altro se non di rimaner deputati, non perché amanti della politica, bensì perché bisognosi di questa nell’esercizio della vita – e, quindi, sprovvisti d’ogni spirito di combattività, amanti del quieto vivere, ossia de’ piccoli favori ministeriali e del più misero favor popolare, pago di un nome, ormai: «il blocco popolare».
Questa la realtà, resa immensamente più grave dal fatto che uomini di prim’ordine le nuove generazioni non hanno, purtroppo, saputo dare alla Camera: le madri italiane, nel decennio dal ’60 al ’70, grandi uomini di Sato non hanno, no, saputo generare.
E allora? Allora dobbiamo convincerci, che in Italia così povera di classi politiche, unica, sola forza politica è la burocrazia, arbitra del Parlamento. Ecco la chiave dell’enigma!
Buona parte della fortuna di Giolitti dipende da ciò, che egli solo, venuto su dalla burocrazia, ha saputo e sa, in qualche modo, dominarla. Guardiamo i suoi ministeri, e quelli da lui patrocinati: in maggioranza, son composti di uomini politici, addetti alle amministrazioni dello Stato; ci fu uno dei due ministeri Fortis, nel quale, su 11 ministri, 8 erano stipendiati dallo Stato.
Formar l’Italia politica, fuori e al di sopra della burocrazia: questo è il compito del domani. Ma è possibile l’intento, finché avremo tanta povertà economica, tanta povertà di coscienza morale?
*Giustino Fortunato, Parlamento e paese, in L’Unità, 6 gennaio 1912,
p. 13.