Sono da poco passate le 15 quando a Montecitorio esplode la rabbia dei parlamentari, esasperati dal governo tecnico. A far saltare i nervi dei deputati è l’ennesima questione di fiducia. Il dodicesimo voto, da quando Monti si è insediato a Palazzo Chigi. L’ottavo solo alla Camera. E adesso l’approvazione del decreto liberalizzazioni – in programma nella serata di giovedì – rischia di aprire una crepa nel rapporto tra Esecutivo e Parlamento.
Messa all’angolo, la politica si innervosisce. Privati dai tecnici di ogni potere decisionale, i partiti alzano la voce. E a dirla tutta non hanno neppure torto. Passi la volontà del governo di affrontare le questioni più spinose attraverso la procedura del decreto legge – non ne abusava anche il precedente esecutivo? – la Camera dei deputati è stata effettivamente spogliata di ogni funzione. Già, perché ogni volta che Monti pone la questione di fiducia, i lavori di Montecitorio devono essere sospesi. È una prassi di tutta evidenza: in attesa di veder confermato il sostegno del Parlamento, l’esecutivo non può continuare a operare come se nulla fosse.
Peccato che così – di fiducia in fiducia – la Camera sia stata praticamente paralizzata. A detta di molti deputati, le conseguenze iniziano ad essere drammatiche. Un esempio? Questo pomeriggio in commissione Cultura sarebbe dovuto intervenire il sottosegretario Paolo Peluffo per illustrare le linee guida del governo sul fondo per l’editoria. Un appuntamento importante, che molti operatori del settore attendevano con ansia. Un’audizione da cui dipende, oltre al destino di diverse testate giornalistiche, il futuro lavorativo di quattromila persone tra giornalisti e poligrafici. Niente da fare. Causa voto sul decreto liberalizzazioni, l’incontro è saltato. Il copione inizia a ripetersi con frequenza. Ogni settimana la capigruppo fissa il calendario dei lavori. Il martedì un rappresentante di Palazzo Chigi chiede la fiducia e i lavori saltano. «Una pratica intollerabile» si è lamentato oggi in aula l’ex ministro Andrea Ronchi. «E ad essere incavolati neri – racconta un deputato di maggioranza – siamo in parecchi».
Ma la paralisi dei lavori parlamentari non è l’unico motivo di scontro. Con la fiducia sul decreto liberalizzazioni, il governo Monti rischia di creare un pericoloso precedente. Preoccupato dall’imminente scadenza dei termini – per approvare il decreto c’è tempo fino a sabato 24 marzo – l’esecutivo ha ignorato un tema fondamentale. Quello della copertura economica di alcune misure. A lanciare l’allarme è stato il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato. Davanti alle richieste di chiarimenti della commissione Bilancio della Camera, i tecnici del Tesoro hanno riconosciuto la criticità di alcuni passaggi del decreto. Gli articoli privi della necessaria copertura finanziaria sarebbero almeno cinque. Si va dall’incremento dell’organico dell’Autorità per l’energia e il gas (articolo 24-bis, comma 1, sub 19-ter), alle permute degli immobili dello Stato affittati alla pubblica amministrazione (articolo 56, comma 1-bis). Un «vulnus istituzionale» stando a quanto ha denunciato in Aula il capogruppo dell’Italia dei Valori Massimo Donadi. Oltre che una violazione della Costituzione, «perché questa assemblea non ha il potere di approvare norme che non abbiano copertura finanziaria».
Quello della copertura finanziaria è un problema serio. Lo dimostra la dura reazione del presidente della Camera Gianfranco Fini, uno che pure il governo tecnico di Mario Monti l’ha sempre difeso. Questo pomeriggio, qualche istante prima che il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda chiedesse la fiducia alla Camera, Fini lo ha duramente ammonito. «Ministro – le sue parole – la prego di prestare attenzione. Mi sia consentito esprimere il rammarico per l’insensibilità dell’esecutivo che non ha ritenuto opportuno fornire all’assemblea ulteriori elementi di valutazione». Una presa di posizione chiara contro il ministro (peraltro non è la prima). La reazione del governo di fronte alle accuse dei parlamentari? Nessuna. In Aula, Giarda si è limitato a confermare di «aver preso atto» dei rilievi di Fini. Poco dopo, incalzato dai cronisti, il ministro ha scaricato la responsabilità al collega del Tesoro (un certo Mario Monti). Quella della copertura finanziaria «è materia su cui è tenuto a rispondere il ministro dell’Economia – ha spiegato – Il titolare dei Rapporti con il Parlamento si occupa solo di calendari…».