Era il 12 marzo del 1992. Una giornata di sole a Caltanissetta, ma sopratutto una giornata di scuola. Avevo soltanto nove anni, e frequentavo la quarta elementare alla “Lombardo Radice” di Caltanissetta. Non c’erano cellulari, internet, tablet, facebook, twitter. Altri tempi. A metà mattinata una maestra della classe accanto sussurrò una frase alla mia maestra di italiano. Percepiii qualcosa, insieme al compagno di sempre “Alessandro”, ma non capii cosa fosse successo di così importante. La maestra di italiano, che per tutti noi era la maestra Franca, cambiò espressione, e devo dire che per un attimo mi fissò con una certa insistenza. Tuttavia dopo qualche secondo continuò come se niente fosse la lezioncina di italiano.
Si fecero le 13:15 e suonò la campanella. Quel giorno tornai a casa a piedi, all’incirca a 500 metri di distanza da scuola. Bussai ai vicini perché i miei genitori sarebbero tornati un po’ più tardi del solito. Quando entrai a casa di “Gianfranco e Fatima”, c’era la tv accesa sul TG1, e la notizia del giorno era la seguente: Salvo Lima, l’andreottiano di Sicilia, già sindaco di Palermo ed europarlamentare della Dc, era stato ucciso a pochi metri da casa sua. Direte: ma a te, che eri un bimbo di nove anni, cosa importava dell’uccisione di Lima? È vero: ero soltanto un bimbo di nove anni, ma Salvo Lima lo conobbi, non personalmente, prima di qualunque politico della prima Repubblica: Andreotti, Cossiga o Spadolini. Fu il mio primo contatto con il mondo della politica.
Entrando a casa dai miei nonni c’era una foto sulla quale mi soffermavo sempre, che vedeva immortalati Lima, mio nonno Giuseppe, capocorrente di Lima a Caltanissetta, e mio zio Michele, amico del plenipotenziario democristiano e deputato regionale all’Ars. La domanda che rivolgevo al primo di turno era sempre la stessa:”Chi è quel signore in mezzo al nonno e allo zio?”. E io, che conoscevo già la risposta, volevo risentire come un mantra sempre la stessa risposta:”E’ Salvo Lima: un amico del nonno e dello zio, uno importante”.
Sì, Salvo Lima era “uno importante”, aveva l’aspetto di una persona autorevole, ed “era amico del nonno”, o forse sarebbe stato meglio dire, “compagno” di partito del nonno. Ero attratto da quell’uomo dall’aspetto austero in posa accanto a mio nonno. Per cui, quando lo vidi per terra in un bagno di sangue, il primo pensiero andò a quella foto sulla quale mi soffermavo ogni qualvolta oltrepassavo la porta d’ingresso dei miei nonni. Ma il 12 marzo del 1992 mio nonno e mio zio se ne erano già andati nell’al di là da un paio di anni. E rimasi con il dubbio: cosa avrebbe fatto o detto quel giorno nonno Giuseppe? Di certo non l’avrebbe presa bene, e magari avrebbe potuto raccontarmi fatti e aneddoti dell’amico (compagno) Lima.
A distanza di 20 anni dalla morte di Lima, ieri era il 12 marzo del 2012, mi torna in mente quel giorno di tanti anni fa, l’immagine di quell’uomo dall’aspetto autorevole steso per terra con un lenzuolo bianco sopra a coprire il sangue. E oggi, quando la vedova Lima ha dichiarato ai giornali che, «mio marito era un uomo profondamente buono, aveva un aspetto che metteva soggezione perché era un timido e come tutti i timidi si difendeva e perché sicuramente era un uomo di carattere», immagino che queste parole le avrebbe potuto dire mio nonno.
Solo più tardi, quando divenni più grande, mi resi conto dell’ambiguità del personaggio politico. Perché fu ucciso? E che responsabilità politiche e non ebbe nella Sicilia degli anni ’70 e ’80? E soprattutto svolse un ruolo di mediatore fra mafia e politica? Come hanno affermato nel corso degli anni diversi pentiti, Lima ebbe rapporti (senza essere affiliato) con la famiglia mafiosa dei La Barbera. Tommaso Buscetta, il primo vero pentito di Cosa Nostra, raccontò di avere incontrato Lima durante i giorni della sua latitanza. Un altro pentito, Gaspare Mutolo, ha accusato Lima di svolgere un ruolo di mediatore fra mafia e politica. E nella sentenza di primo grado del processo contro Giulio Andreotti, la Corte dichiara che «dagli elementi di prova acquisiti si desume che già prima di aderire alla corrente andreottiana, l’on. Lima aveva instaurato un rapporto di stabile collaborazione con Cosa Nostra». Lima subì la svolta terroristica di Cosa Nostra. Stando al pentito Giuffrè, Lima morì nel 1989 quando Bernardo Provenzano «gli mise per due volte la mano sulla fronte per evitargli di sbattere». Il maxiprocesso di Falcone-Borsellino gli diede il colpo grazia. Il plenipotenziario della Dc non poté tutelare gli interessi di Cosa Nostra, e, come racconta il solito Giuffrè, «non fu possibile salvarlo».