Trento. Con non poca enfasi, uno spot di qualche anno fa definiva il Trentino «l’Italia come dovrebbe essere». Oggi, in tempi di crisi, vengono meno anche le certezze. E sul banco degli imputati finisce pure il “modello trentino”, accusato da più parti di alimentare sprechi e privilegi.
A essere messe in discussione sono le stesse prerogative garantite dal secondo Statuto autonomista, che proprio quest’anno festeggia il suo quarantesimo anniversario. Secondo la vulgata più recente, infatti, l’efficienza e i servizi mediamente di gran lunga superiori agli standard del resto d’Italia non basterebbero a giustificare un sistema burocratico locale elefantiaco, cresciuto progressivamente fino ad arrivare a contare oltre 42mila dipendenti pubblici, tra statali e provinciali, per una popolazione di 530mila abitanti (rapporto di 1 a 12, contro una media italiana di 1 a 17).
Il tutto distribuito su ben cinque livelli di governo. A Regione, Provincia e Comune, nel 2006 si sono aggiunte le Comunità di Valle (attualmente 16), ente intermedio tra Provincia e Comune, titolare di competenze amministrative proprie in materie quali l’edilizia scolastica, l’agricoltura e i rifiuti; ognuna dotata di Presidente, Assemblea (che può arrivare a contare fino a 96 componenti democraticamente eletti) e Giunta. E, come se non bastasse, il Trentino mantiene anche le Circoscrizioni, rimaste altrove solo nei capoluoghi con più di 250mila abitanti: a Trento ce ne sono 12 per meno di 120mila abitanti e a Rovereto 7 per poco più di 38mila abitanti.
Anche per rispondere a tali accuse, sabato prossimo migliaia di persone scenderanno in piazza a Trento. «Siamo consapevoli – ricordano gli organizzatori – che la nostra Autonomia, soprattutto in questo momento di crisi, è fonte di attacchi e d’invidie sia da parte dei governatori delle regioni vicine, sia da parte di un’opinione pubblica nazionale che spesso non conosce la nostra storia (ma nemmeno quanto previsto dalla legge fondamentale dello Stato) e ritiene l’autonomia un “privilegio” non giustificato».
Destinatari del messaggio sono i tanti personaggi pubblici che nelle ultime settimane si sono scagliati contro il modello trentino. Tra questi c’è anche un vicino di casa, il giornalista vicentino Gian Antonio Stella, che ha alimentato il dibattito prima con un editoriale dedicato alle regioni “troppo speciali” e poi durante un incontro pubblico tenuto proprio a Trento per l’anniversario dell’entrata in vigore dello Statuto. Com’è possibile – si è chiesto il coautore de La Casta – che la spesa procapite per l’istruzione nella provincia autonoma sia di 1.520 euro a fronte di una media italiana di 934 euro? Oppure che per i gettoni dei consiglieri circoscrizionali della città di Trento vengano stanziati annualmente 227 mila euro?
Critiche che non sono piaciute a chi vive ogni giorno la realtà trentina e che a sentir parlare di «sprechi» proprio non ci sta. «La stampa nazionale è un po’ il termometro di una sensazione generale, che, soprattutto in un momento difficile come quello attuale, induce a considerare questa come la terra dei privilegi. La questione ovviamente è assai più complessa, ma c’è un’onda lunga di dissenso che rischia di travolgere anche il buonsenso», spiega Alberto Faustini, direttore del Trentino, quotidiano fondato nel 1945 e punto di riferimento per il dibattito locale.
A parlare apertamente di «speculazione» è lo storico Lorenzo Baratter, autore del libro L’Autonomia spiegata ai miei figli e membro del comitato organizzatore della manifestazione di sabato. «In realtà – dice – le polemiche vanno avanti da anni. Semplicemente in questo momento di crisi generale le critiche si sono accentuate, complici una certa parte del giornalismo, della classe politica, dei grandi interessi economici. Il fatto è che l’Italia è, tragicamente, priva di una vera cultura autonomista e federalista, disattendendo anche lo spirito sancito nella Costituzione italiana, laddove si dice che compito della Repubblica è quello di riconoscere e promuovere le autonomie locali. In Italia continua a prevalere una forte cultura accentratrice e statalista».
Di fatto, nell’ultimo mezzo secolo il Trentino ha compiuto passi da gigante, trasformandosi da terra di emigrazione in isola felice, con un reddito pro capite quinto in Italia e superiore del 25 per cento alla media europea. E tutto questo, certamente, anche grazie all’autonomia riconosciuta dallo Stato italiano nel secondo dopoguerra. Non a caso, lo scorso anno l’agenzia di rating “Fitch” nel confermare la tripla A alla provincia di Trento ha ricordato come tale risultato fosse frutto, tra l’altro, della «elevata flessibilità finanziaria derivante dallo speciale statuto di autonomia che le attribuisce il 90 per cento del gettito delle principali imposte statali generate nel prospero Trentino».
Per questo sono in tanti a ritenere che, piuttosto che essere affossata, l’esperienza trentina dovrebbe servire da esempio per il resto d’Italia. «Probabilmente – dice Faustini – sarebbe più giusto ragionare su come responsabilizzare maggiormente le varie Regioni, copiando ciò che funziona, eccessi a parte, da queste parti, piuttosto che far morire una millenaria esperienza positiva, giudicata da sempre anche un laboratorio di convivenza, di integrazione. Un tempo questa era solo una terra di emigrazione, mentre oggi è un luogo dove la disoccupazione praticamente non esiste e che per molti è difficile considerare “italiano”».
Intanto i trentini guardano già oltre e ritengono maturi i tempi per un terzo Statuto, dopo quello del ‘48, che ha recepito l’accordo De Gasperi-Gruber, e quello del ‘72, che ha attribuito la totalità dei poteri alle province di Trento e Bolzano esautorando di fatto la Regione Trentino Alto Adige. Il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, ha annunciato che i lavori sono già stati avviati, e che entro l’estate dovrebbe essere pronta una bozza. Rispondendo indirettamente ai critici, lo stesso Dellai ha parlato di «un percorso da intraprendere per arrivare a una valutazione della nostra autonomia, una sorta di check-up a tutti i livelli», che tenga conto dei cambiamenti avvenuti in questi quaranta anni e anche «del clima che si è creato».
Nell’intenzione di chi sta lavorando al progetto di riforma dovrebbe sparire anche il termine “Provincia” (ritenuto improprio, in quanto indurrebbe a un’erronea associazione con gli enti territoriali omonimi presenti nel resto d’Italia) da rimpiazzare con “Comunità autonoma”, considerato più pertinente al nuovo modello di governance. Inoltre si guarda anche al contesto europeo e al rafforzamento della collaborazione con Bolzano e Innsbruck, gli altri due capisaldi del Tirolo storico. Il punto di riferimento, in questo caso, è rappresentato dalla “Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino”, ente di diritto comunitario che ha già una rappresentanza a Bruxelles e che opera per rafforzare la cooperazione delle tre comunità in campo economico, nei trasporti, nella ricerca, nella cultura, nell’ambiente e nel turismo.
Insomma, nonostante gli attacchi provenienti dall’esterno, la specificità trentina non sarebbe in pericolo, ma in evoluzione. «L’Autonomia – dice Baratter – non è a rischio sotto il profilo formale, perché la legge fondamentale dello Stato e i trattati internazionali ci tutelano. Tuttavia lo è sotto il profilo sostanziale, e perciò dobbiamo vigilare perché la nostra classe politica e l’amministrazione provinciale gestiscano il patrimonio collettivo e le risorse a nostra disposizione con oculatezza e responsabilità, senza inutili sprechi. Per sintetizzare, rimane attuale il monito di Alcide De Gasperi: le autonomie sussisteranno fino a quando riusciranno a dimostrare, a parità di risorse, di essere più efficienti rispetto a quanto altrimenti farebbe lo Stato».