Due giorni fa hanno fatto clamore le foto della città di Ordos, nella Mongolia interna, regione autonoma della Cina. La Bbc ha dedicato un approfondito documentario su quella che non è altro se non una città fantasma. Come nel vecchio West, ma traslata nella Cina dei giorni nostri, Ordos è vuota. Potrebbe ospitare oltre 1,5 milioni di abitanti, ma ne conta poche centinaia, tutti funzionari governativi. «Ordos è l’emblema di quello che potrebbe succedere nei prossimi anni», scrivevano gli economisti della banca Hsbc alla fine del 2010. Come prima dello scoppio della bolla dei mutui subprime, in Cina da anni si discute della crescita esponenziale del settore abitativo, spesso senza che ci sia una reale domanda di case. E ora si avvertono i primi scricchiolii. Fra cali dei prezzi delle abitazioni, aumento delle ghost town e calo della domanda di acciaio, per Pechino le prospettive sono incerte.
I timori che la bolla immobiliare cinese sia vicina allo scoppio sono molti. La contrazione dei prezzi delle abitazioni continua da diversi mesi. L’Ufficio nazionale di statistica cinese ha registrato pochi giorni fa un calo, il quinto consecutivo, in questo settore, con 45 città su 70 in contrazione. Il timore di uno scenario simile a quello che ha caratterizzato gli Stati Uniti intorno alle metà degli anni Duemila è sempre più in aumento», ha scritto J.P. Morgan la settimana scorsa. Nelle previsioni della banca statunitense, è possibile che avvenga un calo del 20% dei prezzi degli immobili entro i prossimi 18 mesi. Colpa di un’espansione tanto veloce quanto poco controllata. I prezzi in alcune regioni cinesi, come quella di Shenzhen, sede della seconda Borsa del Paese, sono cresciuti anche del 200% dal 2006 al 2010. E l’agenzia di rating Standard & Poor’s non ha mancato di modificare le prospettive sul settore Real estate cinese. Colpa del calo della domanda di nuove abitazioni, ma non solo.
Il settore del credito è quello che preoccupa di più gli analisti. In particolare, i mutui residenziali sono al centro dei dubbi sulla sostenibilità del mercato immobiliare. Come avvenuto per gli Stati Uniti fra il 2003 e l’inizio del 2007, le richieste di prestiti immobiliari sono tornate a crescere. Dopo una contrazione nel 2011 rispetto l’anno precedente, nei primi due mesi del 2012 l’incremento è stato dell’1,2% su base tendenziale. Le società finanziarie che erogano mutui crescono a un ritmo sostenuto. La banca nipponica Mizuho ha calcolato che dal 2007 al dicembre 2011, questo genere di imprese hanno avuto un impennata del 256%. «Solo un’economia ha registrato un simile fenomeno, quella dei subprime statunitensi», scriveva Mizuho. I cinesi prendono in prestito sempre più denaro per coronare il sogno di una casa, ma non è ancora chiara la dinamica del credito.
I principali tre costruttori del Paese, China Vanke, China Overseas e Evergrande Real Estate, si dicono tranquilli. «Non c’è nessuna bolla, tutto sarà automaticamente regolato, prezzi compresi», ha detto il numero uno di Vanke, Wang Shi, pochi giorni fa. Ma i segnali che arrivano dal settore delle costruzioni sono diversi. In particolare, come fa notare la banca francese Bnp Paribas, il calo della domanda di acciaio da parte della Cina che si è registrato fra novembre 2011 e febbraio 2012, meno 1,2%, lascia intendere un rallentamento nella costruzione di grandi opere. Un’analisi che anche BHP Billiton ha evidenziato oggi. Nella conferenza annuale, il colosso minerario mondiale ha previsto un appiattimento della curva di domanda di acciaio da parte di Pechino nel breve termine. Di contro, è ancora incerto lo scenario di lungo periodo.
Per ora la certezza è che il Fondo monetario internazionale (Fmi) sta mettendo in guardia la Cina. Lo fa già da tempo in merito al settore immobiliare, come dimostra un paper del 2010 a cura di Ashvin Ahuja, Lillian Cheung, Gaofeng Han, Nathan Porter e Wenlang Zhan. Ma ora la musica è cambiata e si sono aggiunti nuovi spettri. Il direttore generale dell’istituzione di Washington, Christine Lagarde, ha parlato apertamente di soft landing, uno scenario economico in cui la crescita del Pil è abbastanza elevata da evitare una recessione, ma non sufficiente a scongiurare i rischi di un incremento dell’inflazione. A trainare questo trend, come ha spiegato lo stesso Fmi, è il settore immobiliare. Zhu Min, funzionario del Fondo, ha escluso che l’economia cinese possa rallentare fino a entrare in recessione, toccando quindi un quadro denominato hard landing. Il contagio del calo della domanda aggregata a livello globale «è uno dei maggiori pericoli per l’economia cinese», ha detto Zhu Min.
C’è infine il debito delle amministrazioni locali. L’opacità dei bilanci pubblici è un tema ricorrente negli ultimi mesi. Dall’ufficio nazionale di statistica non arrivano dati certi e il timore è che possano essere senza controllo. Zhu Min ha spiegato che «il debito delle amministrazioni locali sarà oggetto di discussioni» nei prossimi mesi. Il pensiero, quando si parla di questo settore, va immediatamente ai dati emersi nello scorso autunno. Xie Xuren, ministro cinese delle Finanze, aveva comunicato durante una conferenza stampa che l’indebitamento degli enti locali era di 1.700 miliardi di dollari. Il premier Wen Jiabao risponde alle critiche sul debito pubblico e ribadisce la forza dell’economia cinese. Dati i ritmi di crescita, difficile dargli torto. Ma gli squilibri macroeconomici presenti in Cina sono troppi per dormire sonni tranquilli.