La finanza dei conflitti di interesse decide che Atene non è in default

La finanza dei conflitti di interesse decide che Atene non è in default

La Grecia non merita l’evento creditizio. Almeno, non ora. L’International swaps and derivatives association (Isda), l’organo che regolamenta i derivati finanziari mondiali e le relative controversie. ha deciso che non deve esserci (ancora) il pagamento dei Credit default swap (Cds). Nonostante l’introduzione delle clausole di azione collettiva (Cac), capaci di forzare retroattivamente la ristrutturazione del debito greco, la musica non è cambiata. I Cds, i derivati che proteggono dal fallimento di un asset, non devono essere pagati.

La decisione era scontata. Il Private sector involvement (Psi), cioè il coinvolgimento dei creditori privati nella ristrutturazione del debito greco, è stato approvato ed è partita l’offerta di scambio titoli da parte del governo ellenico. Ma è possibile che nemmeno questo basti per evitare il fallimento del Paese. Infatti, se i creditori non accettano le condizioni poste dal Tesoro e questo dovesse obbligarli tramite le Cac, l’insolvenza potrebbe essere l’unica via.

Nel comitato direttivo dell’Isda a livello europeo ci sono diverse banche e fondi d’investimento. Per le case d’affari troviamo Bank of America/Merrill Lynch, Barclays, BNP Paribas, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, J.P. Morgan Chase Bank, Morgan Stanley, Société Générale e UBS. Di contro, per i fondi hanno votato BlueMountain Capital, Citadel, D.E. Shaw Group, Elliot Management e Pimco. La decisione, come previsto, è stata unanime. Secondo l’Isda non ci sono le condizioni minime il pagamento dei Cds. Questo perché, se è vero che sono state introdotte le clausole di azione collettiva, non è detto che queste siano esercitate dal governo greco. Il rischio è che ci possa essere nei prossimi mesi una coercizione che possa impattare in modo retroattivo sui sottoscrittori dei bond che non vorranno accettare la proposta del Tesoro ellenico. In quel caso, e sono in quello, ci potrà essere l’evento creditizio. Ma fino ad allora, come spiegano fonti bancarie, «non ci devono essere fraintendimenti, i contratti sono contratti e hanno clausole ben definite: se non c’è una coercizione, non c’è evento creditizio». Dato che la partecipazione è possibile che sia inferiore rispetto alle previsioni del governo (90%), potrebbe verificarsi ciò che non è successo oggi.

Di tutta la vicenda, rimane il conflitto d’interesse di fondo. Nel comitato direttivo dell’Isda, fra gli altri, ci sono gli stessi emittenti dei Cds a protezione del debito greco. Non solo. Ci sono anche società, come Pimco, che hanno ammesso in via esplicita di avere posizioni aperte sulla Grecia. E proprio oggi, dopo la decisione unanime da parte del comitato direttivo, il numero uno di Pimco, Bill Gross, ha dichiarato che la scelta sulla Grecia ha creato «un pericoloso precedente per i compratori di Cds». Ironia per via della tempistica a parte, il problema esiste.

A condurre le negoziazioni fra il governo greco e i creditori privati è stato l’Institute of international finance (Iif). La lobby bancaria internazionale è ancora guidata dall’amministratore delegato di Deutsche Bank, Josef Ackermann. E la banca tedesca, negli ultimi due mesi, ha più volte messo in guardia da un fallimento disordinato della Grecia. A ben guardare, lo ha fatto più per ragioni legate al sistema bancario tedesco, più che per mera solidarietà. Secondo gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bis), l’esposizione della Germania al debito ellenico al giugno 2011 era circa 25,8 miliardi di dollari, seconda solo alla Francia, con poco più di 64 miliardi di dollari. Nel complesso, le banche europee sono esposte per 144 miliardi di dollari, mentre quelle non europee per circa 41,5 miliardi. Gli interessi in gioco sono tanti e sono pochi i soggetti che hanno comprato protezione sul debito greco, gli unici che, in caso di default, potranno recuperare qualcosa.

A fronte di questi impegni finanziari, i Cds sui bond ellenici hanno un valore di molto inferiore. Secondo la Depository trust & clearing corporation (Dtcc), il valore nozionale netto di questi contratti esistenti è di 3,2 miliardi di dollari. Poco rispetto a quanto si sarebbe potuto immaginare guardando al debito ellenico esistente, circa 365 miliardi di euro secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi). Molto, invece, guardando al valore politico del fallimento ufficiale del primo Paese dell’eurozona dalla sua creazione. Per quello, come ha ribadito oggi l’Isda, bisogna ancora aspettare.  

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