La Grecia ora è diversamente insolvente, cioè fallita

La Grecia ora è diversamente insolvente, cioè fallita

La Grecia ha evitato il default disordinato, ma non quello ordinato. L’accordo fra creditori privati e governo per la ristrutturazione del debito ellenico in possesso dei primi è fatto. E la situazione in cui si trova ora la Grecia è quella di una parziale insolvenza, come sancito dalle tre agenzie di rating Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. In altre parole, Atene si è dichiarata “diversamente insolvente” sul proprio debito. Tuttavia, la partita non è ancora conclusa. Come ha specificato il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble, «sarebbe un errore pensare che la crisi greca sia risolta così».

Il fallimento controllato della Grecia si è svolto in tre fasi. La prima ero lo swap, lo scambio di titoli di Stato ellenici. I bond detenuti in portafoglio dai creditori privati (banche, fondi d’investimento, fondi pensione, hedge fund) dovevano essere scambiati con nuove obbligazioni trentennali. I creditori, rappresentati dall’Institute of international finance (Iif), dovevano quindi sopportare una svalutazione del 53,5% sul valore nominale dei bond precedentemente detenuti. Trovare un compromesso non era facile. Eppure, è arrivato. Tramite l’attivazione delle Cac (clausole di azione collettiva) e la minaccia di un’insolvenza piena, la Grecia ha potuto forzare l’adesione all’accordo. Senza le Cac, l’accettazione da parte dei creditori privati era all’85,8 per cento. Molto, ma non abbastanza per soddisfare i requisiti minimi tali da sbloccare il secondo piano di salvataggio da 130 miliardi.

La seconda fase era quella dell’approvazione dello swap da parte dell’Eurogruppo. E anche questa è arrivata, dopo che il suo presidente, Jean-Claude Juncker, ha dato il via libera a 47 miliardi di euro per Atene, che saranno erogati al più presto per far fronte alle scadenze dei pagamenti. La questione più spinosa discussa durante la teleconferenza dell’Eurogruppo erano le Cac. Il ministro ellenico delle Finanze, Evangelos Venizelos, sapeva che, senza la coercizione retroattiva delle clausole di azione collettiva, non sarebbe stata raggiunta la soglia dettata dalla troika. Ma sapeva anche che le Cac avrebbero fatto scattare il pagamento dei Credit default swap (Cds), i derivati finanziari che fungono da assicurazione contro l’insolvenza di un emittente. Venizelos ha chiesto l’uso delle Cac e l’Eurogruppo ha avallato la proposta.

Così, si è arrivati alla terza fase, quella dell’ufficialità del default sovrano. L’International swaps & derivatives association (Isda), l’organo che disciplina i derivati mondiali, ha sciolto le riserve e ha optato per l’evento creditizio, cioè il rimborso degli assicurati tramite i Cds sul debito ellenico. Il timore che potesse non scattare l’evento limite in grado di provocare il pagamento dei Cds era elevato. Solo il comitato centrale dell’Isda poteva esprimersi e, stando alle normative correnti, l’attivazione delle Cac implicava la possibilità di un trigger sui Cds. «Era scontato, il mancato pagamento dei Cds avrebbe messo in dubbio la credibilità un’intero mercato e questo non era contemplabile», spiegano fonti bancarie a Linkiesta. Del resto, sullo sfondo c’erano le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation o Ltro) messe in campo dalla Bce per un totale di circa 1.000 miliardi di euro di liquidità per le banche. Una valida rete di protezione per diluire le perdite derivanti dalla Grecia, insomma. 

In realtà, i termini dello swap non sono ancora finiti. Per tutti i bond emessi sotto le varie legislazioni internazionali, la scadenza dell’adesione è quella del 23 marzo. Dopo, non sarà garantito alcun rimborso per gli obbligazionisti che non hanno accettato il concambio di titoli di Stato. Dopo, gli unici impegni che Atene dovrà rispettare saranno quelli con la troika, cioè Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione europea. L’obiettivo è quello di riportare il rapporto fra debito e Prodotto interno lordo al 120% nel 2020. Speranza vana, considerando che lo stato in cui versa l’economia ellenica. Stando al ministero delle Finanze, infatti, il Pil del quarto trimestre 2011 è stato ulteriormente rivisto al ribasso, passando dal -7% al -7,5 per cento.

L’accoglienza dei politici europei è stata positiva. Il cancelliere tedesco Angela Merkel si è detta «soddisfatta» per l’accordo ellenico. Il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha ribadito che la direzione presa da Atene è quella giusta per il ritorno alla sostenibilità del debito. «Gli investitori hanno capito che l’Europa ha impegnato una importante quantità di fondi in vista di questo concambio», ha spiegato Rehn. Inoltre, secondo il finlandese, i creditori privati «hanno compiuto uno sforzo di solidarietà per supportare la Grecia» nei sui programmi di consolidamento fiscale.

La questione che terrà banco nei prossimi mesi è però un’altra. Dopo quasi due anni e mezzo di sofferenza, la Grecia è stata messa nelle condizioni di ristrutturare il proprio debito sovrano. Lo ha fatto tramite un meccanismo, il Private sector involvement (Psi), introdotto con il Consiglio europeo del 21 luglio 2011. Il suo effettivo successo si potrà vedere solo nei prossimi mesi, ma intanto si è creato un precedente, utilizzabile anche per altri casi. Il primo riferimento va al Portogallo, anch’esso sotto il programma internazionale della troika dopo il salvataggio da 78 miliardi di euro della primavera di un anno fa. Per quanto la situazione portoghese possa sembrare difficile, tuttavia, la banca britannica Barclays Capital ieri ha ribadito che «non è in previsione un Psi per il Portogallo nel 2012». Dopo Atene, sarà il turno di Lisbona?

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