Lou Reed, il Transformer oggi compie settant’anni

Lou Reed, il Transformer oggi compie settant'anni

La California è piena di cause significative. New York, invece, è piena di rumori privi di significato e questa potrebbe essere la sua salvezza.

Il rumore. Potrebbe essere questa la chiave per capire Lou Reed, uno dei personaggi più eclettici e controversi della storia della musica rock, che oggi compie 70 anni. Il rumore di New York, la sua città, la città dei dirty boulevards dove vive con la moglie Laurie Anderson e dove è nato, nel 1942. Il rumore degli ingranaggi della Factory, la fabbrica d’arte dove Andy Warhol – “il mio mentore”, come Reed lo definisce spesso – impasto e forgiò il metallo dei Velvet Underground, la band che Reed fondò nel 1965 e distrusse nel 1971, dopo aver di fatto riscritto le regole del gioco del rock’n’roll.

Il rumore, infine, di Metal Machine Music, l’album più discusso, sessantaquattro minuti di echi, chitarre distorte, fastidiosi riverberi e suoni quasi casuali diviso in quattro parti, un provocatorio dipinto del caos giunto nel momento più felice della sua carriera. Metal Machine Music fu una provocazione all’industria musicale e divise i critici: Rolling Stone lo definì un «frigorifero intergalattico rotto», mentre Lester Bangs, in una delle sue più celebri recensioni su Creem, parlò de «il più grande disco della storia della musica».

Lou Reed compie settant’anni facendo parte di quella ristretta cerchia di persone che riescono ancora a stupirci. L’ultima volta, a ottobre 2011, quando insieme ai Metallica ha pubblicato Lulu, disco che ha avuto il grande pregio di scontentare sia gli irriducibili di Reed, che i fan storici della band di Master of Puppets. Lulu, dove Reed non canta ma “recita”, ha riconfermato ancora una volta come l’ex ragazzino con i capelli ossigenati che si dimenava sul palco dell’Olympia Music Hall di Parigi abbia abbandonato una concezione standard della forma canzone, privilegiando sempre di più l’aspetto poetico e lirico su quello sonoro.

Negli ultimi due decenni Reed, grazie anche all’influenza di Laurie Anderson, cui è legato sentimentalmente dalla metà degli anni ’90, ha allargato i propri orizzonti artistici. Ha smesso i panni del Rock’n’roll animal e indossato quelli del Transformer, imparando ad incanalare la sua energia ad alto voltaggio nelle direzioni più disparate. A testimoniarlo, progetti ambiziosi come The Raven, opera musicale e letteraria basata sui testi di Edgar Allan Poe; la rappresentazione teatrale d’avanguardia Time Rocker, in cui ha collaborato con il regista Robert Wilson; Emotions in Action e Lou Reed’s New York, i due libri di fotografia che ha pubblicato nel 2003 e nel 2006.

Il libro che Lou Reed non pubblicherà mai, invece, è quello che riguarda la sua stessa vita. «Preferisco lasciare che siano le mie  canzoni a parlare di me», disse in un’intervista. Sfogliando i suoi brani, in effetti, si forma un gran bell’album dei ricordi. Tanti i volti conosciuti: John Cale, Nico, Delmore Schwartz, David Bowie, Andy Warhol, Mick Ronson, Patti Smith, David Byrne, sono tra quelli che hanno condiviso con Reed una parte dei loro percorsi esistenziali. E poi, i luoghi: non solo New York, ma anche l’Europa, che Reed ama, a partire da Parigi e da quella Berlino cui ha dedicato un intenso disco (Berlin, 1973). In Europa l’ex Velvet Underground tornerà anche nel prossimo giugno per una serie di concerti.

E nelle canzoni di Reed si leggono anche quel disagio profondo e quella malinconica amarezza che ne hanno sempre accompagnato la vita. Il disgusto verso la società dei benpensanti, l’amore come ribellione, il rapporto con la sessualità sono temi ricorrenti in molti brani. Così come i suoi problemi con la droga, trattati anche in Heroine, una delle canzoni-simbolo del periodo Velvet Underground: “Eroina, sii la mia morte / Eroina, sei mia moglie e la mia vita”. La mortalità e la fragilità dell’essere umano. Quella stessa fragilità che lo contraddistingue, ancora adesso, come artista: «Le critiche piovute su di lui dopo “Lulu” lo hanno profondamente colpito», ha recentemente dichiarato il batterista dei Metallica, Lars Ulrich.

Difficlmente Lou Reed troverà mai la sua dimensione, a 70 anni, a 80 o a 90: perché è un uomo, per forza di cose, multidimensionale. Perennemente fuori moda, perché posizionato al di là delle tendenze. «Lo scopo della mia vita», disse una volta nel 1987, «è quello di scrivere il grande romanzo americano sotto forma di disco». C’è riuscito. Non in un solo disco, forse, ma in un’intera carriera. Nella quale, album dopo album e pagina dopo pagina, ha raccontato una delle più grandi storie a stelle e strisce mai lette finora: la sua vita.

Sunday morning

Waiting for the man

Walk on the wild side

Perfect Day

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