Da sempre i ruoli di testimonianza e dibattito civile aderiscono a molteplici livelli di valutazione. Siano essi di natura legale o di ordinario conflitto umano, è pressoché inevitabile che si insinui la domanda, l’urgenza di chiedersi almeno una volta se l’opinione difesa o contestata meriti un dubbio da far tremare le certezze.
E se è merito di un autore come Gianrico Carofiglio l’aver aperto uno spiraglio letterario coerente sul tema – a fronte di una carriera in magistratura e della conoscenza dettagliata di verbali, storie, versioni, facce e contraddizioni – è allo stesso tempo un’operazione audace orientare quelle pagine verso scene e corpi d’attore. In tale senso il drammaturgo fiorentino Stefano Massini ha attraversato pericolosamente la densità di un romanzo come L’arte del dubbio. Una prova in salita non tanto per la scomodità dell’argomento, che mette in gioco episodi di cronaca e interrogatori, ma per le oscillazioni di una scrittura drammaturgica che vorrebbe raccontare e insieme fare luce sullo smarrimento generale delle coscienze dentro il gran calderone della relatività del pensiero.
La scena di un teatrino di cabaret con tanto di luci, profili e costumi anni Cinquanta fa da cornice a due attori più che eccellenti – Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani – due narratori quasi prodigiosi cui è affidata una trama piuttosto scombinata, perché accalcata attorno all’intenzione di divertire con didascalie, precetti o moniti sulla manomissione delle parole e la loro credibilità pagata spesso a caro prezzo. Il respiro proviene non tanto da un’ossatura testuale, che nella voce di Gioele Dix nuovo Dio detta il decalogo del dubbio, ma da quei rari monologhi che vanno dalla tragedia della Thyssen all’assassinio di don Peppino Diana.
Ritagli e intervalli per voce sola affidati all’altezza di Ottavia Piccolo, a quel silenzio tra le parole in grado di soppesare il dolore impietoso, evocando davvero l’insinuazione della crepa dentro il giudizio e l’urgenza di ricordare. Eppure, proprio questa memoria non trova una giusta sequenza nella progressione faticosa di uno spettacolo che adotta lo strumento del racconto delle origini di Adamo ed Eva per poi trasformare, nella pur misurata e intelligente regia di Sergio Fantoni, i volti primordiali in altri camuffamenti farseschi riconoscibili tanto quanto la pluralità del dubbio e la sua arte metamorfica.
Da sagome di legno dipinto, accompagnate dalla musica dal vivo di Nicola Arata, fanno capolino le costruzioni di personaggi chiamati a rispondere di fatti intrecciati nel filo rosso di una narrazione che dell’originale di Carofiglio trattiene una sembianza, un quadro di riferimenti attuali e visibili tra truffe assicurative, rapine, pentiti di mafia e aggressioni. Esempi che, pur nella loro chiarezza dimostrativa e talvolta anche piacevole coloritura scenica, non si susseguono con un andamento altrettanto trasparente. Si ha l’impressione che proprio la realtà, dopo un prologo sugli anagrammi della verità relativa o rivelata, rischi d’essere dispersa come oggetto del dibattito teatrale in una mescolanza e confusione di toni solo in parte domati da regia e attori. La voce divina esprime un controcanto sarcastico, eppure finisce per risultare stonata se a confronto con la durezza degli eventi che fanno ritirare il siparietto rosso e calare luci grigie sulle morti bianche e le vendette criminali. Si scherza su orecchi mozzati, avvocati parrucconi e di nuovo si indossa la bombetta del narratore senza però aver risolto e giustificato, reso credibile, si potrebbe dire adottando ancora una volta lo stesso gergo della scena, nomi e fatti coinvolti nel decalogo dell’arte del dubbio.
Se dunque è la mortificazione degli assoluti veri e falsi a essere posta sul piatto della bilancia, viene da chiedersi perché solo nei rari percorsi della memoria collettiva e nera del nostro Paese si avverta il silenzio del pubblico che ascolta. Le distorsioni che dettano legge in materia giurisdizionale, come in quella umana delle relazioni trovano sì teatro nel dubbio, nella sua goccia che insiste dentro le teste, e batte finché c’è tempo per non rendere nulla scontato. Ma tra varietà e racconto occorre scegliere, perché il varietà descriva e animi un umore e il racconto non ne sia travolto senza peso, finendo per farsi largo con difficoltà tra le maglie di un copione che, purtroppo, sembra risentire per primo del dubbio di non aver scelto.
L’arte del dubbio
Teatro Carcano
dal 29/02/2012 al 11/03/2012
di Stefano Massini
Regia Sergio Fantoni
Interpreti principali Ottavia Piccolo, Vittorio Viviani
Coproduzione La Contemporanea – Teatro Carcano
tratto dal libro L’arte del dubbio di Gianrico Carofiglio