Ma l’articolo 18 non ha affatto rassicurato i mercati

Ma l’articolo 18 non ha affatto rassicurato i mercati

FRANCOFORTE – «Chissenefrega della Grecia, i veri pericoli sono Italia e Spagna». Questa è la frase più ripetuta dai banchieri mondiali, che si sono ritrovati a Francoforte per la Bloomberg sovereign debt conference. La crisi dell’eurozona continua, muta, entra in una nuova fase. La recessione inizia a farsi sentire e dopo l’accordo sul debito della Grecia, si cerca di trovare una via d’uscita. Ma i problemi sono ancora troppo elevati per dormire sonni tranquilli. Il contagio è quello che spaventa investitori e policymaker. E nel cuore della Germania, in quella Francoforte in cui ha sede la Banca centrale europea, l’opinione è che non ci siano margini per stare tranquilli.

Italia e Spagna, come nello scorso autunno, sono al centro delle attenzioni dei banchieri. Riuniti a pochi minuti di distanza dall’Eurotower, nell’austera Villa Kennedy, finanzieri e operatori di mercato non fanno altro che parlare della prossima vittima della crisi dell’eurodebito. Il consolidamento fiscale dell’eurozona è appena all’inizio e non ci sono ancora delle misure adeguate per proteggere Roma o Madrid. Il fondo salva-Stati permanente European stability mechanism (Esm), che sostituirà lo European financial stability facility (Efsf) dopo un breve affiancamento, sarà discusso solo a fine mese, ma il tempo scorre. Nemmeno il Fondo monetario internazionale è pronto e, nel frattempo, i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli continuano a correre. Il tasso d’interesse del Btp decennale è tornato oltre quota 5% e lo spread, cioè il differenziale di rendimento fra i bond governativi italiani e i corrispettivi tedeschi, è risalito oltre i 300 punti base.

«Non ci sono soluzioni, per ora. Ci sono mezzi per prendere tempo, ed è quello che si sta facendo». Il pensiero comune lo sintetizza Claus Raidl, numero uno della Oesterreichische Nationalbank, la banca centrale austriaca. Il riferimento non è solo all’Europa, che ancora sta cercando di ritrovare la bussola per uscire dalla peggiore crisi della sua storia. Il riferimento è anche a Italia e Spagna. Sebbene non ci fosse nessun panel in particolare su questi due Paesi, sono stati il leit motiv della mattinata. L’indomani della bozza di riforma del lavoro in Italia, tutti guardano alle prossime mosse del governo di Mario Monti. In particolare, Raidl ritiene che sia un buon passaggio, ma che non sia ancora sufficiente. «Questo accordo non chiude la partita, che poi si giocherà sulla crescita», dice Raidl. Analoga la visione di Moritz Krämer, capo della divisione europea di Standard & Poor’s. «È una buona notizia, ma la vera sfida sarà nei prossimi mesi e nel 2013, quando le elezioni metteranno alla prova l’Italia», ha detto Krämer.

Recessione, mancanza di riforme strutturali, credit crunch, elezioni nel prossimo anno. Sono questi i quattro temi su cui l’Italia rischia di tornare nel pieno della crisi. Certo, un sollievo c’è e sono in tanti a evidenziarlo. Uno di questi è il capo economista di Commerzbank, Jörg Krämer, che apertamente dice: «Almeno Silvio Berlusconi non c’è più». Ma le sfide di Monti sono tante, troppe. Krämer fa notare che il rally sui titoli di Stato italiani iniziato a dicembre, lo stesso che ha portato i rendimenti dei decennali sotto quota 5%, è solo merito della Bce. «Senza le due operazioni di finanziamento a lungo termine, non ci sarebbero stati scossoni così significativi». E nella lobby di Villa Kennedy si torna a parlare di un intervento del Fondo monetario internazionale.

L’impressione generale è che la Grecia sia stato solo un esperimento. Il Private sector involvement, (Psi) cioè la partecipazione dei creditori privati nella ristrutturazione del debito ellenico, ridurrà quest’ultimo sotto quota 120% del Pil nel 2020. Il tutto secondo le stime del Fmi. Come spiega Holger Schmieding, capo economista di Berenberg Bank, «il Psi ha avuto una vita travagliata, ma se funzionerà come tutti ci speriamo, sarà un’interessante modello per altre situazioni future». Parole che lasciano intendere che nel breve-medio termine potrà esserci un nuovo utilizzo del Psi. Il 70% degli investitori presenti sono stati colpiti dalla ristrutturazione del debito ellenico e non sono in pochi a rumoreggiare. Uno di questi chiede perché dovrebbe tornare a investire in bond governativi. «Se poi si applica di nuovo il Psi, io e tutti noi rimaniamo fregati», tuona.

C’è poi la Germania. Oggi il dato sugli acquisti manifatturieri, cioè l’indice Purchasing managers’ index (Pmi) era atteso a 51 punti. È stato registrato a 48,1 punti. E questo significa che «nessuno è immune a questa crisi», come fa notare Hans Humes, numero uno di Greylock, uno dei maggiori hedge fund mondiali, coinvolto anche nella crisi greca. A Linkiesta Humes dice che «la recessione è il peggiore degli scenari, ma anche il più probabile per l’eurozona, come indicano tutti gli indicatori». Senza crescita, spiega il finanziere, non ci potrà essere «un giusto bilanciamento fra rilancio dell’economia e consolidamento fiscale». Il riferimento è anche all’Italia. «Mi sembra che ci siano meno ombre rispetto al recente passato, ma la situazione resta grave», dice Humes.

Sullo sfondo rimane quella che tutti definiscono un sistema zoppo, fatto di squilibri fiscali e mancanza di competitività. Come ha spiegato l’economista di Commerzbank, Krämer, le sfide più grandi riguardano Italia e Spagna. Se Madrid ha appena cambiato esecutivo, quindi è vista più stabile che altri, sebbene resti irrisolta la questione fondamentale delle riforme iberiche, su Roma pesa il dopo-Monti. Come dice a Linkiesta Sean Egan, presidente dell’agenzia di rating americana Egan Jones, «il clima elettorale non è un segnale di stabilità per alcun Paese, ma in particolare per l’Italia aumenteranno i rischi di un ritorno al loscenario politico guerrafondaio e poco incline alle riforme di quando c’era Berlusconi». Proprio ciò di cui l’Italia non ha bisogno.  

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