La metamorfosi del premier Mario Monti da De Gaulle a “Montipardo”, fiera del “cambiare per non cambiare”, è stata completata la scorsa notte, con la decisione di non includere gli statali nella riforma dell’articolo 18. Ci aspettavamo che Monti inaugurasse la Terza Repubblica, invece sta spartendo solo il potere corporativo nel post-Berlusconismo.
Questo è un rischio che sapevamo di correre: il rischio della “non-ideologia”. Un governo senza partito, a meno che non abbia dietro qualche gruppo interessato al benessere diffuso, serve solo al vantaggio delle corporazioni. È in balia della lobby e dei gruppi. Non riesce a riformare nulla che colpisca interessi costituiti, e si rivale solo sul popolo disorganizzato.
Potremmo scomodare ampia parte della letteratura modernista novecentesca sulla rappresentanza politica (ahi, Huntington! ahi, Banfield!), soprattutto dopo il ventennio di Berlus-Il-Sung, ma preferisco la pratica. Non è stato liberalizzato nulla di sigificativo, perché dava fastidio: neanche nelle proposte iniziali di “apertura del mercato” c’erano idee davvero coraggiose. La riforma del lavoro, si è visto, colpisce iniquamente i cittadini non protetti. Gli stipendi dei parlamentari hanno subito uno shampoo leggero, che non brucia gli occhi, altrimenti piangono.
E grida vendetta la “tenaglia incrociata” di tasse ancora più alte e controlli fiscali con licenza di uccidere, rispetto ai quali anche la Corte dei Conti ha dimostrato perplessità. O meglio, non avrebbe gridato vendetta se i soldi recuperati fossero stati impiegati per abbassare le tasse, ma il premier ci ha detto che “è meglio evitare tesoretti”. Il perché, non è dato saperlo.
Capisco e giustifico Monti per le azioni iniziali: occorreva salvare il paese da una catastrofe economica totale. È il dopo che lascia basiti: sicuramente non per colpa sua, ma per colpa della posizione scomoda in cui egli si trova. Non è, quindi, colpa sua, ma…
…qualcuno ha sentito parlare di riforma del sistema elettorale? Io no!
…qualcuno ha sentito parlare di riforma del sistema radiotelevisivo? Io no!
…qualcuno ha sentito parlare di riforma del conflitto d’interessi? Io no!
…qualcuno ha sentito parlare di riduzione reale della spesa pubblica? Io no!
…qualcuno ha sentito parlare di riforma educativa contro baroni universitari e contro la spesa accademica destinata quasi esclusivamente agli stipendi? Io no!
…qualcuno ha sentito parlare di politiche vere per la fiscalità agevolata di progetto per le nuove imprese e per far crescere le piccole? Io no!
Il problema dei governi tecnici è che se agiscono “a mano libera” finiscono sempre così, perché non sono sottoposti al controllo popolare. Cittadini, con chi ce la prendiamo se le “riforme di Monti” non sono all’altezza del compito storico al quale l’uomo era stato chiamato?
Perché, cari miei, di compito storico si trattava. Si trattava di creare le condizioni per fare impresa in Italia, creare valore aggiunto da distribuire, far tornare la leadership dall’estero e attrarne di nuova. Si trattava di terminare il presidio statale a settori strategici, con una miriade di imprese affidate ad amici di amici.
Si trattava di smantellare l’articolo 18 e il precariato insieme, costruendo un sistema di contratti “giusto” e applicabile per tutti. Non s’illudano i giovani: se tutti avessero l’articolo 18, a meno di non erigere barriere ai confini in stile “Korea del Nord”, il 99% delle imprese chiuderebbe domani. Ma smantellare l’articolo 18 tenendo in piedi tasse sui profitti commerciali superiori al 68% creerà solo disoccupazione. Di più: gli imprenditori dovranno pagare oneri aggiuntivi per garantire i lavoratori, come una sorta di assicurazione. Ma stiamo scherzando?
Alla fine, assistiamo inebetiti al sacco dell’Italia. Siamo stanchi e rassegnati. Inizio a comprendere chi invoca il default: economicamente è un’assurdità, ma come facciamo a sopportare questo tipo di politiche per altri quarant’anni, finché (forse) il debito non sarà stato ripagato?
Tutto avviene con il benestare dei cittadini, che con il “marketing della sobrietà” sono precipitati in un berlusconismo accademico, il quale al papi sostituisce il paternalismo. Se la DC era concertazione tra partiti, qui siamo alla concertazione tra interessi corporativi. Ce lo meritiamo?