«Le decisioni? Le prende sempre lui». Malumori non ce ne sono. Ma tra i ministri la consapevolezza ormai ce l’hanno tutti: questo è un governo «fortemente leaderistico» (uno di loro lo descrive proprio così). Meglio, un esecutivo Monticentrico. Il capo è uno, riconosciuto e rispettato.
Dalla crisi diplomatica con l’India alla trattativa sulla riforma del lavoro, passando per il decreto Semplificazioni. Il presidente del Consiglio segue tutto in prima persona. «L’ultima parola? È comunque la sua». Mario Monti legge gli approfondimenti, studia le carte. «E se non conosce una materia, si fa spiegare anche i dettagli. È un grande ascoltatore». E poi vuole parlare con tutti. Vertici con leader politici, manager, industriali. Decine di appuntamenti ogni giorno. A Palazzo Chigi qualche collaboratore ha iniziato persino a preoccuparsi: a sentire loro, a forza di lavorare a ritmi serrati Monti sarebbe esausto. Fisicamente provato. Tanto che sei giorni fa, di ritorno dall’ultimo vertice europeo a Bruxelles, qualcuno giura di averlo sentito ammettere: «Non ce la faccio davvero più».
Di questo passo l’ipotesi di un secondo mandato alla guida del governo si allontana. Difficilmente Monti potrà continuare a gestire personalmente tutti i dossier. Specie se al posto dei “suoi” tecnici i ministeri saranno in mano ad esponenti del mondo politico. Ma il presidente del Consiglio non sembra preoccuparsene troppo.
Esemplare la vicenda dei due militari italiani detenuti in India. Anche stavolta Monti ha voluto occuparsi del caso in prima persona. Scavalcando il ministro Giulio Terzi di Sant’Agata. I maligni raccontano che il presidente del Consiglio non nutra particolare stima nei confronti del titolare degli Esteri (probabilmente non aiuta il fatto che Terzi sia stato “indicato” alla Farnesina da Gianfranco Fini, una nomina politica cui Monti si è dovuto adattare). Proprio da qui sarebbe nata la decisione del premier di spedire in India il sottosegretario Staffan de Mistura. Il primo esponente del governo sul campo. A condurre la lunga trattativa per il rilascio dei due marò sarà lo stesso Monti. Il suo staff ha già fissato un incontro con il primo ministro indiano Manmohan Singh per il prossimo 26 marzo, durante il viaggio in Asia del premier.
E poi c’è il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro. Con buona pace del ministro Elsa Fornero, anche qui le decisioni le prende tutte l’ex commissario Ue. Il confronto quotidiano con i sindacati e i particolari della trattativa no. Quelli Monti non li segue. «Non avrebbe materialmente il tempo». Ma sui due temi principali, le risorse economiche e la modifica dell’articolo 18, non permette che nessun altro metta bocca. Anzi, sull’articolo 18 sembra che il presidente del Consiglio abbia già deciso. Accordo o meno con le parti sociali, la norma sarà modificata. E in tempi piuttosto rapidi. Il 25 marzo il professore partirà per l’Asia, dove visiterà il Giappone, la Cina e parteciperà al Nuclear Security Summit a Seul insieme a diversi capi di Stato e di governo, compreso il presidente Usa Barack Obama. Monti avrebbe già assicurato i suoi: il capitolo lavoro sarà chiuso prima di allora.
Tra gli esponenti di governo nessuno si stupisce troppo. «Monti è un leader, un capo indiscusso», ammettono. «Un punto di riferimento per tutti noi». Nessun ministro vive i suoi continui interventi come un’ingerenza. Semmai sono uno stimolo, una rassicurazione. La sua ultima parola su ogni provvedimento? È legittimata dal rapporto diretto con il mondo della politica. Con quei leader dei partiti che talvolta strepitano, alzano la voce, ma continuano ad assicurare la fiducia al governo in Parlamento.
Intanto il professore studia già le prossime mosse del governo. A breve dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri un intervento sul tema privatizzazioni. Ma i provvedimenti più impopolari arriveranno in autunno. Da Palazzo Chigi rivelano che a novembre il governo tornerà prepotentemente sull’argomento liberalizzazioni. Mettendo mano a tutte le situazioni lasciate irrisolte nel decreto da poco approvato al Senato. «Allora la fase di emergenza sarà considerata conclusa – spiegano – e l’esecutivo potrà respirare un po’ di più». Senza considerare che, anche volendo, non ci sarà più tempo per sciogliere le Camere.