Napoli, ecco come muore un Museo d’arte contemporanea

Napoli, ecco come muore un Museo d’arte contemporanea

I camioncini anonimi si vedono sempre più spesso. Arrivano, ne escono tre, quattro facchini che prendono uno o più involucri imballati e vanno via, uscendo a fatica da via Settembrini, stradina che assomiglia più a un vicolo, perpendicolare a via Duomo, cuore del centro storico di Napoli. Da dove escono? Cosa portano via? Lì, in quella strada con troppe auto parcheggiate, nell’ex Provveditorato agli Studi di Napoli dove una volta c’era la folla dei supplenti per consultare le graduatorie, oggi c’è il museo di arte contemporanea Madre. Non si sa ancora per quanto. Perché il Museo Madre sta morendo.

I camioncini anonimi che si fermano, caricano e ripartono trasportano opere d’arte. Decine, quelle che stanno andando via alla spicciolata. I proprietari le rivogliono indietro. Motivo? Perché tenerle in un museo di fatto senza direzione, senza visione strategica, senza un programma? Una fonte accreditata mostra a Linkiesta l’elenco delle ultime opere ritirate. Si tratta di opere piuttosto conosciute, facenti parte della cosiddetta “collezione storica” ovvero frutto di prestiti di lungo periodo (dai 2 ai 4 anni) o prestito indeterminato con diritto di recesso immediato concessi da fondazioni, collezioni private o dagli stessi autori se viventi. Esempio: l’Archivio Opera Piero Manzoni, fondazione che tutela e promuove a livello internazionale l’eredità artistica di Piero Manzoni ha chiesto indietro una delle copie della celebre Merda d’artista esposta da tempo al Madre insieme ad altre tre opere (Achrome; Corpo d’Aria n.28; Fiato d’artista 1960). Il Concetto Spaziale di Lucio Fontana anche è stato ritirato, così come Tincta purpura tegit fuoco roseo conchyli di Mario Mertz e Study of a fashion plate (B) di Richard Hamilton e alcuni capolavori di Roy Lichtenstein e Luciano Fabro, tutti appartenenti a fondazioni e collezioni private. Il pittore e scultore greco Jannis Kounellis, autore di numerose opere acquistate a Napoli ai tempi di Antonio Bassolino (ad esempio quelle per abbellire le stazioni della metropolitana) ha ufficialmente ritirato tutte le sue opere in prestito al Madre. Idem per il biellese Michelangelo Pistoletto che nel museo partenopeo ha esposto la sua Venere degli stracci. L’ultima cannonata sulla traballante esposizione, 7.200 metri quadrati su tre piani, è arrivata da New York: la Sonnabend Gallery, proprietaria di circa 40 opere, ne ha chiesto il ritorno negli Usa.

Eduardo Cicelyn, fondatore del Madre e da sempre uomo solo al comando del museo

Il museo, inaugurato nel 2004, ha sempre avuto un solo padre padrone, il suo ideatore Eduardo Cicelyn. Fedelissimo di Bassolino e insieme ad Achille Bonito Oliva suo consigliere per tutte le questioni artistiche, Cicelyn è oggi col piede fuori dalla porta: la maggioranza di centrodestra guidata al governatore regionale Stefano Caldoro, azionista della Fondazione Donnaregina, la struttura che amministra il Madre, gli ha già preparato il foglio di via. Prima la polemica sul suo compenso (200mila euro annui) poi la decisione: al posto di Cicelyn un direttore scelto via bando pubblico. La Regione Campania tuttavia questo bando non l’ha mai redatto e oggi la situazione è drammatica. Il quasi ex direttore (il contratto scade dopo l’estate) ha informato tutti gli artisti e le gallerie di questa situazione e in un mondo così sensibile il panico è scattato subito, culminato con le lettere di ritiro opere. Lo stesso Cicelyn qualche anno fa preconizzava la situazione, lo testimoniano i verbali delle riunioni del Consiglio d’amministrazione: «Il Direttore Generale – si legge – riferisce che la Fondazione detiene oltre 100 opere di cui 5 sono di proprietà della Fondazione a seguito di donazione da parte degli autori; le restanti sono in prestito a tempo indeterminato. Il Direttore segnala altresì che l’artista può in qualsiasi momento ritirare l’opera prestata con preavviso di un mese; si tratta di opere storiche assicurate per circa 65 milioni di euro». All’epoca la risposta fu politica: «Sarebbe il caso che per il futuro fosse adottato uno schema contrattuale previamente approvato dal CdA», replicò la nuova maggioranza di centrodestra. Era il marzo 2011. Oggi, un anno dopo, l’incubo perfetto si è realizzato. E Napoli potrebbe essere una delle poche città in Europa in cui un museo d’arte contemporanea, realizzato con la spesa di milioni d’euro, chiude i battenti nel silenzio generale.
 

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