CineteatroraNema Problema, le guerre balcaniche tornano in scena

Nema Problema, le guerre balcaniche tornano in scena

La conoscenza di un conflitto come quello balcanico all’apparenza distante centinaia di chilometri, le sue mutilazioni e morti barbare, i diari di chi l’ha osservato e testimoniato, le divisioni interne delle etnie rendono conto oggi come ieri degli effetti sull’uomo e della sua disumanità. Nema problema (Storia di un ritorno), monologo scritto da Laura Forti e interpretato da Giampiero Judica, trae dalla realtà di un giovane milanese trovatosi a combattere nell’esercito croato, l’opportunità scenica per restituire il dolore e l’infermità di una guerra mai del tutto sopita.

Il 1 marzo è ricorso il ventesimo anniversario del conflitto nella ex Jugoslavia. Nema problema racconta una storia vera, il prima e il dopo di Simeone, giovane milanese catapultato nelle maglie di quella guerra. Qual è, secondo lei, la bestialità più feroce e insieme più universale che ne esce?
Secondo me il degrado della vita umana. Uno degli aspetti più unici di questa guerra, e lo ripeto nel monologo, è che gli esseri umani sono ridotti a pattume. Se infatti l’elemento forse più idealistico di un conflitto è il rispetto del corpo, del nemico in quanto uomo, in quello balcanico, che ha radici antichissime risalenti ai turchi-ottomani, è esistito invece il reale disprezzo dei corpi. Dell’umanità in senso fisico, secondo quello che chiamano “regolamento di conti”. A Belgrado ho potuto conoscere molte persone che dicevano d’essere amici stretti fino al giorno prima che scoppiasse la guerra. Da allora le loro relazioni sono state stravolte, i ruolo scambiati irreversibilmente, per effetto di uno scontro vivo nelle comunità.

In passato aveva già preso parte al tema di questa guerra recitando ne La polveriera di Dukovski. Cosa è cambiato da allora? E, soprattutto, il teatro può avere ancora un compito se non politico, almeno di instillazione del dubbio?
Da La polveriera è nato tutto il mio interesse. Quello che è cambiato da allora è l’effetto dirompente in tutte le etnie, talmente violento da provocare una certa stanchezza. Due anni e mezzo fa, quando per motivi di lavoro sono stato a Belgrado, ricordo che i giovani vivevano con molta nostalgia qualcosa che in realtà non avevano mai sperimentato, vissuto realmente. E mi riferisco per esempio all’epoca di Tito. Una stanchezza nostalgica accompagnata però anche dalla diffidenza, quella sensazione dovuta al fatto che gli amici erano diventati i migliori nemici. Quello che invece non è cambiato è l’essere divisi, la presenza di una ferita sempre aperta e ora solo più nascosta. L’esperienza de La polveriera è stata a proposito fondamentale: presentata a un festival dedicato ai diritti umani, con un cast d’attori serbo-croati e riuniti negli Stati Uniti per uno spettacolo proposto a dieci anni dal conflitto, dava la sensazione di una luce fuori dal tunnel. Il teatro in quel caso era una soluzione quasi terapeutica. Così Nema problema, che abbiamo presentato in molte scuole con un senso non solo di informazione necessaria, ma della guerra come qualcosa che ti porti a casa. Per questo, abbiamo scelto una struttura anti-teatrale, con le luci fredde dei neon, la scena vuota per un’ambiguità più forte tra realtà e finzione.

È di questi giorni la notizia del ritiro di tre squadre di calcio – bosniaca, kosovara e macedone – dalla lista di partecipazione al trofeo Gaetano Scirea di Matera. Fonti ufficiali sostengono la versione di una carenza organizzativa, potrebbe essere invece il sintomo più subdolo di un campo di battaglia mai morto?
Be’, per chi segue il calcio, la coppa Scirea è una delle manifestazioni più importanti e note e il fatto che si dica che sono mancati i mezzi economici ha l’aria d’essere una fragile giustificazione. Guarda caso si tratta proprio di tre squadre direttamente coinvolte nel conflitto jugoslavo, insomma, una coincidenza davvero troppo strana. Penso infatti che ogni motivo possa essere un detonatore e se si cercano ragioni di altra natura è solo per salvarsi la faccia, con il rischio però di innescare odio in giovani a cui tra l’altro viene negata un’occasione.

Nello spettacolo la fisicità di Simeone è tormentata: si può dire che il suo rapporto con la musica, in particolare il sassofono, sia quello che resta per sopravvivere alla trappola della “polveriera”?
Assolutamente sì. C’è a proposito una fascinazione perversa nei confronti di Charlie Parker, artista morto giovane e distrutto, oggetto di una mitizzazione. Simeone si aggrappa al sax come per cercare un modo di resistere sia a quello che ha vissuto, sia agli incubi che lo ossessionano e gli impediscono di convivere con il ricordo di prima della sua vita a Milano. E il sax non è scelto a caso: ha un suono molto forte, straziante e sensuale come ogni fascinazione. Quella che si prova per la guerra è simile, finché non ci si rende conto che è distruttiva.

Recentemente ha debuttato da regista al Teatro Cometa Off di Roma con Blu, un altro monologo esclusivamente al femminile di Laura Forti, drammaturga che continua ad affrontare tematiche scomode come l’immigrazione e la Shoah. Avete in cantiere nuovi progetti insieme per il futuro?
In realtà con Blu – che insieme a Nema problema fa parte di una trilogia – si è tastato soprattutto il terreno, lavorando molto sulla contaminazione col dialetto siciliano. Dunque un lavoro sulla drammaturgia della lingua che vorremmo portare a compimento presto. Al momento, sto pensando a una prossima materia viva dove il presente serva sempre a raccontare il passato. E lo scambio con Laura è molto ricco, in ascolto reciproco, per dare luce al testo grazie a una ricerca continua. Una ricerca che vorrei proseguire nell’esplorazione delle dinamiche relazionali e magari di altri viaggi nel tempo. 

L’attore Giampiero Judica in scena

Teatro Elfo Puccini sala Bausch | 13 – 18 marzo 2012
mar-sab: 19:30 / dom: 18:00  
Nema problema (Storia di un ritorno)
Nuove Storie
di Laura Forti
regia Pietro Bontempo
con Giampiero Judica
produzione Fondazione Teatro Due  

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