CERNOBBIO – Gli squilibri economici globali sono ancora i protagonisti del Forum Ambrosetti di Cernobbio. I Paesi emergenti rallentano, mentre l’eurozona cerca una stabilizzazione tanto difficile da ottenere quanto desiderata. In questo contesto, l’Italia è tornata a sedersi sui tavoli più importanti dello scacchiere internazionale, ma resta l’impegno più grande, quello delle riforme. E Linkiesta ne ha parlato con Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
In questi due giorni uno dei leit motiv è stata la partita fra Usa, Europa ed economie emergenti. La crescita economica nei Bric (Brasile, Russia, India, Cina) sta rallentando e c’è timore che questo possa avere conseguenze anche su America e Ue. Cosa dobbiamo attenderci?
Non credo che i Bric, nei prossimi anni, avranno un rallentamento troppo significativo: bisogna anche vedere se ciò che si sta sperimentando adesso avrà carattere duraturo o no. Teniamo comunque in considerazione che tutti i Bric hanno ampi spazi di politica macroeconomica da usare in caso di contrazione di breve termine. Politica fiscale, politica monetaria: c’è tanto da utilizzare. Non mi sembra che i Bric possano essere una fonte di preoccupazione. C’è – è vero – un rischio di hard landing in Cina, come fanno notare molti. Però i cinesi hanno imparato a controllare meglio il ciclo economico. Non siamo preoccupati. Certo, come diciamo spesso, se in Cina ci fosse un cambio flessibile sarebbe più facile evitare questi rischi. Questo però richiede tempo per completare diverse trasformazioni del sistema finanziario. I cinesi però, si sa che non amano correre.
E gli Stati Uniti?
Beh, l’America è un punto interrogativo. Se vogliamo essere precipitosi, possiamo dire che gli Usa sono usciti dalla crisi, è in corso un deleveraging delle famiglie, del sistema bancario e si vedono barlumi di luce. Però abbiamo tutti sbagliato più di una volta, tutti. I miglioramenti del mercato del lavoro, ad esempio, bisogna capire se sono permanenti. Il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke dice di no. Inoltre le famiglie si stanno liberando del debito. E bisogna capire come e quando il mercato immobiliare si stabilizzerà, dato che ancora non si è stabilizzato. Ci sono varie cose che invitano alla cautela. Quindi, prima di cantare vittoria, temo dovremo attendere ancora.
Infine, l’Europa: forse il punto di più difficile lettura.
L’Europa invece ha problemi ben più seri. Non siamo ancora usciti dalla crisi. Il problema è la crescita complessiva, compreso il suo riequilibrio, e non possiamo tornare ai modelli di crescita del passato. Come Ocse, auspichiamo che vengano introdotte misure strutturali per rendere più stabile la crescita nella zona euro e poi che ci sia più azione a livello di Ue su mercato interno e innovazione, che sono altri punti deboli. Crediamo che ci siano ancora ampi spazi di miglioramento.
In Europa ci saranno le elezioni francesi fra poco e tedesche fra un anno. Il pericolo che durante le campagne elettorali possa prevalere una deriva populista è concreto?
Questo, purtroppo, è un rischio permanente in ambito europeo su tutte le questioni. Non lo scopriamo adesso. Ma attenzione: più che di rischio populista, bisogna parlare di rischio nazionalista. Del resto, una delle domande che ci si pone quando guardiamo l’Ue è cosa deve essere fatto con una soluzione europea e cosa su base nazionale. È un fatto che molti cittadini ritengono che quello che c’è stato di europeo negli ultimi anni sembra essere quasi vano. In questo quadro, il dibattito sull’euro è sintomatico: la gente si chiede se sia stata una buona idea. Quando è stata introdotta la moneta unica si era in fase espansiva, poi la crisi. Infine ora si parla di uscita dall’euro come soluzione ai problemi. La soluzione nazionalista potrebbe avere queste implicazioni. È chiaro che, su questa base, il rischio che diventi realtà c’è. C’è però un paradosso.
Quale?
Proprio in questi momenti di scarsa fiducia, l’unica ancora per i cittadini è la politica. Questo perché, se si tratta di una politica lungimirante, cioè che prende decisioni concrete, si può dare un indirizzo. Certo, ogni indirizzo, ogni direzione, ha i suoi costi, ma almeno c’è una via da seguire. Non ci sono scorciatoie – forse dirò una cosa banale – ma c’è bisogno di più politica, sia a livello nazionale sia a livello europeo. Di fatto il populismo non è altro che la scarsità di politica, che fa entrare i Paesi in un circolo vizioso. E si percepisce che in Europa ne manca. In questo contesto, il rischio di un populismo, ripeto, è forte.
Nello scorso settembre il rischio di un collasso dell’euro era ben più elevato di adesso. Fra Banca centrale europea, Commissione Ue e singoli Paesi, l’impressione è che si sia creata un’architettura positiva. Ma quando potremo avere una politica economica comune in ambito europeo?
La stiamo costruendo. Abbiamo il Fiscal compact, abbiamo uno strumento che per comodità possiamo chiamare Fondo monetario europeo. Eppure, ci sono ancora da fare molti passi avanti nella creazione di un sistema di regolamentazione e sorveglianza finanziaria europea. C’è una dimensione europea della crescita che ancora deve essere sviluppata. E poi ci sono strumenti come gli eurobond, che potrebbero essere molto utili. Ma il loro problema è particolare: non bisogna chiedersi se sono utili o no. Il dilemma è capire quali siano le condizioni di fondo per usarli in modo effettivo ed efficace. E queste sono stabilità fiscale, finalizzazione degli eurobond a progetti di lungo termine e via dicendo.
Quindi, il processo di integrazione europea va avanti.
Sì, in realtà c’è un sacco di Europa, anche forse non si riesce a spiegarlo ai cittadini. Il passo finale di questo percorso sarebbe un bilancio unico europeo di fronte a un’unico parlamento. Quella sarebbe l’integrazione fiscale piena, ma questo è chiaramente un passo politico. Magari ci sarà in futuro, ma sarà ancora lunga.
Parlando della Grecia, dopo il default ordinato di inizio marzo, cerca ancora una sostenibilità del debito. Secondo il Fondo monetario internazionale il ritorno alla crescita economica avverrà nel 2013. E secondo l’Ocse? Siete positivi come il Fmi?
La Grecia stava finendo in una crisi incontrollabile. Ritengo che la gestione di questa criticità, a livello istituzionale, sia stata positiva. Il Psi (Private sector involvement, il coinvolgimento dei creditori privati nella ristrutturazione del debito ellenico, ndr) ha stabilizzato il debito, almeno per adesso, ma è solo un primo passo. Il problema di Atene è sempre lo stesso. Ora bisogna costruire un’economia che funzioni, che non viva sui sussidi. La Grecia, finora, ha vissuto sui sussidi legati alla spesa pubblica, sulla mancanza di concorrenza in diversi settori e su un sistema pensionistico insostenibile. L’Ocse ritiene che ci sono misure che, se adottate in Grecia, possono aumentare il tasso di crescita sostenibile in modo consistente e duraturo. È poi chiaro che queste azioni, che comprendono riforme su tutti i settori prima elencati, non sono facili da applicare. Ci sono casi di Paesi che hanno cambiato radicalmente la loro esistenza attraverso un processo di ristrutturazione. Lo può fare anche la Grecia, ma questo dipenderà dal governo, dalle parti sociali, pur sempre con occhio all’equità dei costi sociali.
Dal mondo anglosassone sono molto scettici sull’Italia e si chiedono quando Roma metterà in campo tutte le misure richieste da Bce in agosto e Commissione Ue in autunno.
È chiaro che non ci sia un decalogo da fare. Le cose da fare, lo sapevamo, erano tante e non sono mai state fatte. Ora sta però succedendo una cosa particolare. Improvvisamente, in un tempo molto compresso, c’è un’agenda di governo enorme che probabilmente dovrà essere ulteriormente allargata. Questa agenda ha un grosso pregio: è una strategia complessiva, va dalla finanza pubblica al mercato dei prodotti, passando per quello del lavoro, alla trasparenza, alla pubblica amministrazione. C’è il potenziale per dare uno shock positivo, che potrebbe stabilizzarsi per diventare un elemento permanente nella composizione del tasso di crescita.
E per il dopo Monti? Nel caso arrivasse un governo politico, c’è il rischio di un rallentamento delle riforme di cui ha bisogno l’Italia?
Credo che qualunque governo ci sarà nella prossima legislatura avrà interesse a rafforzare il processo di riforma perché ne beneficia l’intero Paese. Del resto, un governo che viene percepito come agente di cambiamento positivo ne trae anche benefici politici. Forse è troppo semplicistico, ma è la realtà.
Due giorni fa Monti ha detto che «la crisi dell’eurozona è quasi finita». Lei invece?
Beh, con la Grecia che ha ristrutturato il proprio debito, con il firewall approvato ieri e con il Fiscal Compact, l’architettura dell’area euro si è andata molto rafforzando. Da questo punto di vista, Monti ha ragione. Ciò non toglie che ci sono alcuni elementi di crisi in alcuni Paesi europei che devono essere tenuti ancora sotto controllo. Meglio quindi distinguere le due cose, dato che diverse criticità sono ancora da risolvere.