BRUXELLES – Sembra incredibile ma per una volta l’Italia potrebbe essere un modello da imitare – se funzionerà – sul fronte della creazione di infrastrutture. Almeno stando a quanto racconta il viceministro delle Infrastrutture e Trasporti Mario Ciaccia secondo il quale durante il Consiglio dei ministri Ue dei trasporti a Bruxelles, il collega tedesco Peter Ramsauer si è a lungo intrattenuto con lui per saperne di più. Parliamo delle obbligazioni di scopo, comunemente note come project bond che il governo di Mario Monti ha inserito nel cosiddetto decreto “Libera-Italia” per promuovere la realizzazione delle infrastrutture.
Anche la Commissione Europea parla di project bond, ma, spiega Ciaccia c’è una differenza sostanziale: «Quelli europei hanno un qualche impatto su deficit e debito pubblico degli Stati membri», per via delle garanzie che questi devono porre per ridurre i rischi e il coinvolgimento della Bei (Banca europea degli investimenti), di cui sono azionisti gli stessi stati membri, che sottoscrivono il capitale della banca. I project bond all’italiana, invece, assicura il viceministro, sono interamente «privatistici» e «non intaccano il debito», visto che lo Stato, in termini di finanziamento, è tenuto fuori. «Ramsauer – racconta il viceministro – non sapeva che si potessero fare project bond così, faceva riferimento solo al modello della Commissione Europea». Ciaccia si considera un po’ l’ideatore di queste obbligazioni, che aveva già raccomandato lo scorso ottobre, quando era ancora amministratore delegato e direttore generale di Banca Infrastrutture Innovazioni e Sviluppo del gruppo Intesa Sanpaolo.
Il vantaggio di questo obbligazioni è anzitutto che consentono di finanziare anche la parte più delicata, quella cioè della costruzione dell’opera, che non genera ancora flusso di cassa e dura solitamente anni. All’articolo 41 del titolo II, dedicato alle infrastrutture, si modifica la disciplina del codice dei contratti pubblici in materia di emissioni delle obbligazioni da parte delle società «costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità» che «possono emettere, previa autorizzazione degli organi di vigilanza, obbligazioni» anche in deroga ad alcune norme vigenti (ad esempio l’obbligo di garanzia ipotecaria nel caso superino il doppio del capitale sociale). Ci sono però condizioni precise, anzitutto che tali obbligazioni siano destinate alla sottoscrizione da parte degli «investitori qualificati», in modo da coinvolgere nel finanziamento di opere pubbliche non solo il sistema bancario, ma il sistema finanziario complessivo. È anche vietato il trasferimento di questi bond a soggetti «che non siano investitori qualificati come sopra definiti». Non basta, secondo il decreto, «i titoli e la relativa documentazione di offerta devono riportare chiaramente ed evidenziare distintamente un avvertimento circa l’elevato profilo di rischio associato all’operazione».
Per la parte più rischiosa e meno remunerativa, quella cioè fino all’avvio della gestione dell’opera con l’inizio del normale cash-flow, il decreto prevede che le obbligazioni possano «essere garantite dal sistema finanziario, da fondazioni e da fondi privati, secondo le modalità definite con decreto del ministro dell’Economia e delle finanze di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti». Non si parla, dunque, di garanzie dello Stato, ecco perché Ciaccia dice che non impattano sul debito sovrano italiano. «Siamo i primi in Europa ad avviare questo tipo di finanziamento», ha dichiarato entusiasta il viceministro a Bruxelles. Il quale spiega che l’obiettivo è anzitutto di sviluppare l’infrastruttura al Sud.
Resta da vedere, naturalmente, se e quale sarà l’interesse degli investitori, visti i tempi molto lunghi dell’investimento. Secondo Ciaccia, se si riuscisse ad arrivare a un’equiparazione ai Btp in termini di agevolazioni fiscali, «faremmo il botto, in senso positivo», facendo decisamente decollare queste nuove obbligazioni di scopo, «senza creare una concorrenza con i titoli sovrani». Se funzionasse, potrebbe essere una svolta, visto che l’ex banchiere stima a 100 miliardi di euro il fabbisogno di investimenti in infrastrutture nei prossimi tre anni.