Un meccanismo pienamente proporzionale, basato su una robusta soglia di sbarramento, sulla previsione dei collegi uninominali e di liste bloccate di partito a livello regionale nonché sul rafforzamento delle prerogative del capo del governo e sulla sfiducia costruttiva. Le nuove regole elettorali al centro della discussione fra le principali forze politiche sembrerebbero ispirarsi al modello in vigore in Germania realizzando quel Cancellierato da sempre apprezzato per stabilità ed efficienza. Tuttavia le affinità restano apparenti, poiché nei negoziati in corso si va sempre più configurando un sistema tutto italiano, concepito e modellato per le esigenze dei gruppi oggi dominanti. A spiegarlo è Fulco Lanchester, docente di diritto costituzionale italiano e comparato alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza nonché presidente della Lega per l’uninominale, nata per promuovere una riforma elettorale maggioritaria di collegio.
Come giudica la trattativa in corso sulle nuove regole di voto?
Il testo all’esame di Gaetano Quagliariello, Luciano Violante, Italo Bocchino e Pino Pisicchio, gli esperti delle forze protagoniste del negoziato, presenta punti differenti da quelli emersi sugli organi di informazione. La presenza del nome del candidato premier sulla scheda, peraltro di dubbia costituzionalità considerando le prerogative del capo dello Stato, non è affatto prevista. Una decisione ragionevole, visto che elemento distintivo della bozza è l’eliminazione dell’eventuale patto di coalizione preventiva. In questa fase nulla è consolidato, se non l’orientamento delle tre formazioni che appoggiano il governo Monti di raggiungere un accordo sul terreno istituzionale ed elettorale. Ma l’intesa sui meccanismi di voto, quelli davvero fondanti, arriverà alla fine del processo, quando i partiti avranno acquisito consapevolezza del livello di liquefazione o della possibilità di stabilizzazione del regime esistente. La sensazione oggi prevalente è che la politica partitica sia stata sostituita da una politica tecnica legittimata nel Quirinale, in una sorta di “monarchia costituzionale” nella quale la rappresentanza parlamentare controlla un esecutivo che nasce sulla base di un indirizzo necessitato e imposto dall’esterno, e in particolare dall’Europa e dai mercati.
Ma quali sono gli obiettivi dell’iniziativa assunta da Pdl, Pd e Terzo Polo?
L’intero percorso è guidato dal principio dello scambio reciproco, per cui la destra rinuncia al premio di governabilità o di maggioranza, la sinistra al doppio turno di collegio e i centristi alle preferenze. E il suo punto di approdo è un meccanismo in grado di liberare le principali formazioni dei “cespugli e nanetti” di cui parla Giovanni Sartori, per consentire dopo il voto una Grande coalizione tra i partiti più rilevanti o alleanze variabili in cui le forze di centro divengono l’ago della bilancia. Ma è possibile un altro sbocco: la confluenza in un unico contenitore moderato della destra e della sinistra, emancipate dall’abbraccio con il Carroccio e con Sel e Idv. In questo caso potrebbe restare in vigore il premio di governabilità e lo stesso Porcellum, che ha sostituito il principio elettivo con quello della nomina verticistica dei parlamentari. È purtroppo inconfutabile che tutti i partiti riescono a controllare meravigliosamente il meccanismo oggi in vigore, perché sono forze oligarchiche, burocratiche, personalizzate.
I promotori del confronto sulla riforma fanno riferimento alla Germania come modello possibile per il nostro paese.
Il progetto al centro della discussione odierna si allontana decisamente dalle regole in vigore a Berlino. In Germania le forze politiche lottano sempre per vincere, e solo in determinati casi si forma dopo il voto una Grosse Koalition: nel modello italiano la Grande coalizione appare come un’opzione obbligata e prestabilita. A differenza del sistema sedimentato da oltre sessant’anni al di là del Brennero, in cui la clausola di sbarramento nazionale è stata fissata una volta per tutte al 5 per cento, dove non vi è premio di governabilità né diritto di tribuna, la bozza Violante è stata concepita per la conservazione di una realtà partitica sregolata e in disfacimento, antitetica a uno Stato dei partiti regolato e strutturato. Viviamo in una “partitocrazia senza partiti” che non assomiglia neanche alla partitocrazia pesante della prima fase della storia repubblicana.
È una questione di regime dunque?
Sì, e i meccanismi di voto in senso stretto non sono sufficienti a prefigurare un ordinamento democratico. È quanto mai essenziale un’organica legislazione elettorale di contorno, che parta dall’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, relativo ai partiti politici e alle loro funzioni pubbliche, innanzitutto la presentazione di candidati alle cariche istituzionali. In Germania vengono riconosciuti come partiti solo le forze politiche organizzate e funzionanti sulla base di regole democratiche, in grado di ottenere un consenso significativo ed eleggere propri candidati. Su questo fronte riconosco un’evoluzione nelle proposte di legge presentate fino a oggi: le prime puntavano sull’attribuzione della personalità giuridica di gruppi e movimenti politici, quelle successive focalizzavano l’attenzione sul finanziamento pubblico e sulle fondazioni culturali, le più recenti sono imperniate sul riconoscimento del ruolo elettorale dei partiti. Un tema che si ricollega anche alle modalità di regolamentazione delle elezioni primarie: istituto che ha prodotto danni a un Pd imprigionato nel dilemma tra primarie di partito e di schieramento.
Alla luce di un processo avviato in direzione proporzionalistica, quali prospettive restano alla Lega per l’uninominale?
La nostra associazione deve liberarsi da un’ambiguità originaria. Privilegiando il riferimento al collegio e dimenticando il legame con il meccanismo maggioritario, la Lega aveva ammesso la possibilità di collegare l’uninominale con regole proporzionali. Ora davanti a sé ha tre alternative chiare: l’uninominale secca britannica, il doppio turno francese, il voto alternativo australiano con possibilità di una seconda preferenza. Ma dovrà scegliere, e finirà per dividersi tra i “puristi” e i più attenti alle esigenze dei partiti, sempre cruciali nella definizione di un nuovo ordinamento. Anche per questa ragione dovremo allargare l’iniziativa alla ricerca di modalità democratiche di formazione e di espressione della rappresentanza. Problema che abbraccia la raccolta delle firme per le candidature e l’accesso all’informazione e comunicazione politica, il rimborso ragionevole e certificato delle spese elettorali e la regolarità del voto dei rappresentanti eletti all’estero. Ancorare alla riforma elettorale precisi obiettivi di ripristino dello Stato di diritto, in un orizzonte federalista europeo, potrebbe arrestare la deriva verso una definitiva e pericolosa delegittimazione della politica.