Il paradosso delle proteste che da due mesi hanno acceso la campagna elettorale in Russia è che hanno fatto bene a Vladimir Putin. Non nel senso che il premier e futuro presidente abbia preso vera coscienza degli errori del passato e abbia cambiato radicalmente linea, smettendo gli abiti dell’autocrate e vestendo quelli liberaldemocratici. Piuttosto hanno giovato alle sue quotazioni, che da dicembre a febbraio si sono alzate, tanto che ora pare che non ci sia più dubbio sulla vittoria al primo turno. Questa è la situazione reale alla vigilia del voto, al di là dell’immagine che viene presentata sui mainstream occidentali, che si abbandonano spesso a desideri malcelati invece di togliersi le lenti del pregiudizio e raccontare come stanno davvero le cose nel Paese. La Russia non è più quella di Winston Churchill (“Un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma”) e non è forse così difficile da decifrare. A guardar bene.
Primo esempio, i sondaggi. Appena dopo le elezioni parlamentari del 4 dicembre e l’inizio delle proteste contro i brogli (che ci sono stati, ma non hanno influenzato sostanzialmente l’esito finale della consultazione per la Duma) la cifra dei russi che pensava di votare per Putin si aggirava intorno al 42% secondo tutti i maggiori istituti (Fom, Vciom, Levada). Successivamente, prima e contemporaneamente alla grande manifestazione del 24 dicembre, i valori erano leggermente saliti, con Fom al 44% e Vciom 45%. A gennaio questi due istituti davano il favorito ancora in crescita al 46% e 51%, mentre il Levada al 43%, sempre in ascesa, seppur limitata. Dopo la terza azione di protesta a Mosca il 4 febbraio, Fom ha rilevato per Putin il 50% dei consensi, Vciom il 54%. Nelle prognosi fatte sul campione di coloro che andranno a votare, sicuramente o quasi sicuramente, i valori sono aumentati a favore di Vladimir Vladimirovič per il Fom dal 52% di gennaio al 58% di febbraio e per il Levada dal 63% di dicembre al 66% di febbraio. Tra dicembre e gennaio è cresciuta sensibilmente la percentuale dei russi (dal 53 al 62) che pensa che lo Zar possa vincere al primo turno.
Secondo esempio, le manifestazioni. Contrariamente alla percezione occidentale (dovuta ai talvolta strani meccanismi della comunicazione sulla direttrice Est-Ovest), la partecipazione dei russi alle manifestazioni di piazza è andata scemando. Se il 24 dicembre la variegata opposizione extraparlamentare ha portato in strada oltre centomila persone e il blogger Aleksej Navalny preso dall’euforia ha promesso di portarne il 4 febbraio un milione, le cose sono andate diversamente. Lo scorso fine settimana tra Mosca e San Pietroburgo hanno partecipato meno di cinquantamila persone alle due iniziative antiregime. Certo, in questi tre mesi, la società civile si è mossa, la fantasia si è scatenata in internet e un po’ ovunque tra pupazzetti e cortei di auto, ma la forza numerica dell’opposizione è rimasta limitata, anzi si è un po’ sgonfiata. I toni invece si sono alzati, ripresi volentieri dai media occidentali, ma il dato di fatto è che l’antiputinismo fine se stesso non ha pagato, non riuscendo a uscire dalla cerchia metropolitana. Dei 110 milioni di elettori solo un decimo sta a Mosca. E anche qui Grigory Yavlinsky, Boris Nemtsov e Mikhail Kasyanov sono e rimarranno in netta minoranza.
Cosa è dunque successo? Se da un lato il Cremlino ha azzeccato i tempi e i modi di una campagna elettorale iniziata nel peggiore dei modi con l’annuncio dello scambio di poltrone tra Putin e Medvedev, reagendo poi con sensatezza al movimento di protesta, senza repressioni e con una mano (quella di Medvedev) tesa verso alcune richieste dell’opposizione, quest’ultima si è dimostrata incapace di dare unità, sostanza e credibilità a se stessa, rimanendo imprigionata nelle sue troppe e diverse anime. L’ultimo appello di Navalny prima del 4 marzo, quello cioè di andare a votare per chiunque tranne che per Putin, non è stata altro che una dichiarazione di resa, di povertà e confusione di idee. Nell’ultimo sondaggio della settimana scorsa pubblicato dal Levada Center, alla domanda “Per chi non voterebbe mai tra i candidati alla presidenza”, la risposta Putin era all’ultimo posto, con il 15%. Tolti il 26% di chi non voterebbe nessuno o non risponde, significa che il 59% è per Putin. I conti tornano.
Manifestante con palloncini del Partito comunista russo, guardata a vista dai poliziotti