Pagando Ici, Imu, Tarsu, multe e bollo auto online si risparmiano 2,3 miliardi di euro l’anno. È quanto ha calcolato l’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano, che oggi ha presentato i risultati di un’indagine condotta setacciando 200 enti pubblici italiani, tramite 2mila interviste e l’analisi di 20mila siti web. Una cifra che corrisponde al 14% delle spese correnti dei Comuni certificata dall’Istat nel 2009 (ultimi dati disponibili). Le spese complessive, infatti, ammontano a 76,7 miliardi di euro, di cui il 20,6% è assorbito dalla voce “altre spese correnti”, per circa 15 miliardi l’anno. Un risparmio che inciderebbe positivamente anche sul debito delle amministrazioni locali, nel 2009 salito a quota 63,3 miliardi di euro. E che non sarebbe niente male vista la pressione fiscale che grava sulle spalle dei cittadini.
Secondo gli esperti dell’ateneo milanese, i minori costi vivi legati a carta, toner, bolli e fotocopie si attesta a 950 milioni di euro l’anno, ai quali si aggiunge un recupero di efficienza degli impiegati che il Politecnico calcola in 38mila FTE (Full time equivalent l’anno), pari a un altro miliardo di euro. L’FTE, spiega a Linkiesta Michele Benedetti, responsabile della ricerca dell’Osservatorio eGovernment, «è una misura internazionale che stima quanto tempo è necessario a svolgere una determinata attività, a cui abbiamo assegnato un valore economico di 18 euro l’ora». «Non essendo un costo evitabile, la sfida è riuscire a reindirizzare i dipendenti su attività a più alto valore aggiunto». Perdere cioè meno tempo tra scartoffie e marche da bollo.
Stesso discorso sui certificati anagrafici: ogni anno in Italia vengono rilasciati 16,5 milioni di certificati, ma digitalizzando tutti i passaggi dell’iter, dalla richiesta all’erogazione, il risparmio si aggira intorno ai 90 milioni, di cui 65 di costi vivi e altri 25 milioni corrispondenti a 800 Fte l’anno. Più complesso, invece, il processo di integrazione tra front office e back office nello Sportello unico delle attività produttive (SUAP), che in teoria dovrebbe servire a facilitare il rapporto tra imprenditori e Pa. «Alcuni Comuni offrono già la possibilità di inviare telematicamente tutta la documentazione necessaria ad aprire un’impresa, ma poi non tutti i Comuni hanno un servizio digitale anche per la gestione di questi documenti e il loro invio ai settori di competenza», osserva ancora Benedetti. In pratica, se voglio aprire una società e il Comune me lo consente, posso inviare la richiesta via mail, ma poi il Comune è costretto comunque a stamparla per smistarla ai vari uffici deputati a trattare le specifiche della mia richiesta. Utilizzando esclusivamente il web per tutti questi passaggi, il risparmio è stimato in 250 milioni l’anno, oltre a un dimezzamento delle tempistiche di evasione delle pratiche.
Eppure, nonostante la Pa dal 2003 a oggi abbia investito 750 milioni di euro per migliorare i propri servizi, la digitalizzazione della Pa è un processo lento, inefficiente e macchinoso. L’Osservatorio rivela che soltanto il 16% dei Comuni ha attivato sul proprio sito servizi di pagamento, ma di questi solo il 42% permette ai cittadini di visualizzare la propria posizione debitoria. Non solo: se circa il 50% delle amministrazioni locali ha attivato online servizi di sportello unico, solo il 22% di esse consente una gestione completa dell’iter a livello informatico.
I cittadini, dal canto loro, non sono ancora molto propensi al mondo digitale. L’analisi sui benefici attesi dai cittadini, realizzata dal Politecnico con Doxa (mille italiani intervistati con età superiore a 15 anni) mostra che solo il 50,5% è propenso a utilizzare vari canali per pagare le imposte comunali, mentre solo il 29,4% ha un’elevata propensione all’interazione online con la Pa. Curiosamente, il 60% di essi proviene dal centro-sud e uno su cinque ha più di 54 anni.
Anche gli imprenditori, stando all’indagine dell’Osservatorio eGovernment condotta con Retecamere (1.001 imprese), non sono molto digitalizzati: se lo sportello è utilizzato come unica interfaccia per i pagamenti soltanto da un imprenditore su cinque, sono le banche gli intermediari preferiti (48,4%) per questo tipo di operazioni online. Segno che i Comuni devono ancora fare molto su questo fronte.
Twitter: @antoniovanuzzo