Sì alla Spagna, no all’Ungheria: la Ue è sempre debole coi forti

Sì alla Spagna, no all’Ungheria: la Ue è sempre debole coi forti

BRUXELLES – La faccia feroce di Bruxelles è durata lo spazio di un mattino. Meno di due settimane fa Mariano Rajoy batteva il pugno sul tavolo – proprio il giorno, il primo marzo, in cui al summit di Bruxelles 25 leader (tra cui lui) firmavano il ferreo “patto di bilancio” imposto da Angela Merkel ai suoi partner – e alla fine, in buona sostanza, il premier spagnolo l’ha spuntata. L’obiettivo del deficit al 4,4% del Pil nel 2012? Carta straccia, Madrid potrà arrivare al 5,3% (piccolo sforzo in più rispetto al 5,8% indicato da Rajoy).

Cronaca di questi giorni, quanto basta per mostrare come alla fine la politica faccia piazza pulita di impegni solenni, trattati, firme, dichiarazioni, minacce. Ricorda tanto la famosa frase del ferreo ministro delle Finanze di Helmut Kohl, che, mentre si definiva chi potesse entrare nell’Unione monetaria, diceva (pensando all’Italia): «Tre per cento vuol dire tre per cento, con lo zero dopo la virgola» in riferimento al parametro di Maastricht su un deficit non superiore al 3% del Pil.

Chiacchiere allora, come sono chiacchiere oggi. Quando Rajoy ha sorpreso i suoi colleghi con il suo inquietante annuncio, la Commissione Europea si è affrettata a mostrarsi dura. «Contiamo che Madrid rispetti tutti gli impegni presi», commentava il commissario agli Affari economici Olli Rehn, agitando lo spauracchio di una procedura per deficit eccessivo, con tanto di invio di una squadra a Madrid per «fare chiarezza». Una sceneggiata, finita a tarallucci e vino e risolta, con buona pace dell’esecutivo di José Manuel Barroso, a livello intergovernativo: una «piacevole e costruttiva» chiacchierata tra il ministro delle Finanze spagnolo Luis de Guindos e il collega tedesco Wolfgang Schäuble è bastata a sbloccare la questione. Con la foglia di fico di chiedere un piccolo sforzo in più agli spagnoli, per lo 0,5%. Il 4,4% è sepolto, dimenticato.

La Spagna è solo un esempio, per quanto clamoroso. Fa venire in mente il 2003, quando Germania e Francia, con l’aiuto della presidenza italiana dell’Ue sotto Silvio Berlusconi, allentarono il Patto di stabilità per svincolarsi dai propri impegni. Qui, almeno, c’è un elemento economico solido: l’economia spagnola è in picchiata, la disoccupazione al 21%, alla fine tutti si sono resi conto che imporre il rigoroso rispetto del target iniziale, con una manovra aggiuntiva da 44 miliardi di euro, avrebbe definitivamente strangolato il paese. Anche questa, però, è una prova di quanto sia aleatorio il rigorismo germanico, di come la legge dei numeri non riesca a domare la realtà della politica e dell’economia. «Il Patto di stabilità non è stupido, a noi interessa un risanamento strutturale, non puramente sulla base delle cifre», ribadiva ieri Rehn, quasi a schermirsi. Peccato però che la nuova governance economica dell’Ue del Six Pack e soprattutto il “Fiscal Compact” di Angela Merkel siano piene di cifre, obiettivi, multe.

Del resto, l’esempio spagnolo rischia di diventare un precedente. E far venire l’acquolina in bocca ad altri, anche loro alle prese con sforamenti dei target. Ad esempio la rigorista Olanda. Per ora, nessun commento, ma non si può dimenticare che nel 2012 e nel 2013 il deficit olandese raggiungerà il 4,5% del pil, mentre l’Olanda si è impegnata a rispettare il 3% nel 2013. Anche in Olanda pesa l’economia (il paese è in recessione, per il 2012 Bruxelles prevede una contrazione dello 0,9% del pil), perché vale per Madrid e non per l’Aja?

E, fuori dall’euro, c’è l’Ungheria, anch’essa in pessimo stato economico, che rischia di vedersi cassare quasi mezzo miliardi di euro di contributi Ue proprio per il suo sforamento del deficit, in applicazione del Six Pack. Per Budapest, almeno finora, nessuna pietà – sarà perché non è la Spagna. E infatti il ministro delle Finanze austriaco, Maria Fekter, ha già protestato, «due pesi e due misure per Spagna e Ungheria». Anche questa è politica.

Andiamo avanti, e troviamo la stessa Germania. Per il momento Berlino non dovrebbe sforare i suoi target con l’Ue. Secondo il settimanale Der Spiegel, però, la coalizione di centro-destra di Angela Merkel sta sforando buona parte dei propri obiettivi di risparmio – e questo sebbene l’economia tedesca sia quella in miglior salute di tutta l’eurozona – appena il 42% dei target sarebbero stati raggiunti.

Che cosa accadrà i prossimi mesi si vedrà. Ad esempio, per la Spagna, l’eurogruppo di ieri ha ribadito che dovrà riportare il deficit sotto il 3% nel 2013. Lo stesso Schäuble, che pure ha sostenuto l’amico de Guindos, si è fatto scappare qualche dubbio. «Se non ce l’hanno fatta nel 2011 e nel 2012 – si dice abbia commentato – come potranno riuscire nel 2013?». Il punto rimane sempre lo stesso: Angela Merkel ha imposto per ragioni di politica interna un’assurda camicia di forza – contro la quale si registra già un appello di numerosi economisti – ai partner, con tanto di obbligo costituzionale o simile del pareggio di bilancio. Solo che è una camicia di carta. Fatta la legge, trovato l’inganno.