MADRID – Lo sciopero generale convocato in Spagna, in protesta contro la riforma del mercato del lavoro, rivela un paese diviso. L’adesione delle categorie con un alto potere di negoziato e maggiore tradizione sindacale, industria e trasporti in primis, è stata massiccia, mentre i lavoratori dei servizi e del commercio hanno quasi disertato lo sciopero. A metà strada il pubblico impiego, con una partecipazione che sarebbe pari al 50 per cento. Nel complesso lo sciopero generale pare salvare i sindacati, che rischiavano l’indifferenza di massa, ma non indebolisce il governo, che andrà avanti con le riforme.
In Spagna lo sciopero generale è sempre stato una questione seria, prova ne è che in oltre trent’anni di democrazia ne sono stati convocati solo sette, uno per ogni presidente, salvo González che ne visse due (ma governò undici anni). Il più riuscito fu quello del 2002, quando l’allora presidente Aznar ritirò una controversa riforma del lavoro, mentre il penultimo fu quello del 2010, contro un governo Zapatero ormai allo sbando. Questa volta ad avere paura erano un po’ tutti, dal governo, che temeva un’escalation in stile Grecia, ai sindacati, al centro negli ultimi anni di una perdita di prestigio tra i lavoratori, che non erano certi di riuscire a determinare una mobilitazione sufficiente. Entrambi i contendenti, a modo loro, possono dichiararsi soddisfatti. Secondo i sindacati l’adesione sarebbe stata all’85% ma il governo contesta questo dato.
Fin dalle prime ore dell’alba la massiccia risposta dei metalmeccanici, dei portuari e dei lavoratori del settore dei trasporti aveva scongiurato la possibilità, prevista dai sondaggi dell’ultima ora, di un’adesione minoritaria. Fatti salvi i servizi minimi del 30% nel traffico aereo e ferroviario, rispettati senza incidenti di rilievo, sembrava che il paese si fosse effettivamente fermato. Nelle zone industriali, dai Paesi Baschi alle fabbriche di Valencia e dell’Andalusia, l’adesione allo sciopero sarebbe superiore al 90 per cento. Ma con il passare delle ore l’effetto paralisi è stato ampiamente controbilanciato dai servizi e dal commercio. Nelle zone di Madrid ad alta densità di uffici sembrava un giorno normale, se non fosse stato per i numerosi bar e negozi chiusi. Collassati invece i mercati generali e completamente paralizzati tutti e 28 i porti spagnoli, mentre hanno retto gli aeroporti, sebbene con molte cancellazioni e ritardi. Si segnalano, soprattutto a Barcellona, diversi incidenti e atti vandalici, che sembrano impensierire il governo, spaventato dalla possibilità che in mondovisione appaiano immagini di scontri simili a quelle giunte da Atene negli ultimi mesi. Una settantina di arresti e alcuni feriti lievi sono per il momento il bilancio della giornata, sebbene sino a notte fonda si temano altri incidenti.
La ministra del lavoro Fátema Báñez ha però fatto capire chiaramente qual è la posizione del governo: la riforma non si tocca, neanche nei suoi punti più controversi. Già approvata con ampia maggioranza parlamentare e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, la nuova legge introduce maggiori flessibilità per i datori di lavoro nel modificare orari, salari o persino la sede di lavoro, pena il licenziamento son soli 20 giorni di indennità per anno lavorato, mentre prima erano 45, già ridotti in ogni caso da Zapatero a 33. La riforma dell’attuale governo, rispetto a quella del 2010 dei socialisti, modifica però tutti i contratti già esistenti e apre anche diverse porte per il licenziamento nel pubblico impiego (sono in salvo solo i vincitori di un concorso).
Con gli occhi di tutti gli analisti internazionali puntati sui conti spagnoli, l’esecutivo guidato da Mariano Rajoy non poteva permettersi nessun passo falso. Il Partito popolare, che governa con una schiacciante maggioranza in parlamento, ha infatti sofferto, a solo 100 giorni dal suo insediamento, un duro colpo con la sconfitta alle elezioni regionali domenica 25 marzo, in Andalusia e nelle Asturie. Il risultato dello sciopero, sebbene sarebbe superiore alle attese della vigilia, permette tuttavia di tirare un sospiro di sollievo.
Sia il presidente Rajoy che la confindustria iberica hanno cercato di richiamare gli spagnoli a un senso di responsabilità di fronte ai cinque milioni 300mila disoccupati, a cui se ne aggiungeranno, per previsione dello stesso esecutivo, altri 600mila nel corso del 2012. Con la recessione che è tornata a dominare il panorama economico generale e il fantasma di un riscatto finanziario, previsto da diversi analisti, arriva adesso un altro scoglio durissimo. Domani il governo presenterà infatti la finanziaria per il 2012 (in ritardo per tatticismi sulle elezioni regionali, poi perse), in cui si annunciano tagli del 15% in ogni ministero e altri sacrifici per tutti, con l’obiettivo di riduzione del deficit dall’8,5 al 5,2 per cento. Per il momento molti spagnoli sembrano comunque decisi a sopportare i sacrifici, anche se il credito concesso al governo è meno incondizionato di quanto sembrasse solo tre mesi fa.