CATANIA – «Fratello spero che riesci a scaricare tutte le pallottole su quel cesso che non deve vivere, brucia poi il biglietto». È solo una parte dei tre pizzini che avevano stabilito l’eliminazione del sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Catania Pasquale Pacifico.
Ritorna un clima teso e pesante in città, dove sinora nessun magistrato era stato mai colpito, ma ove funzionari di polizia, giornalisti e avvocati hanno perso la vita per mano mafiosa. I pizzini portano la firma di Orazio Finocchiaro, detenuto nel carcere di Udine e attualmente al 41bis. Si tratta di uno dei boss del clan Cappello, uno dei più spietati e crudeli in città, fondato da Salvatore Cappello negli anni ‘80 per opporsi allo strapotere di Cosa Nostra etnea e quindi al gruppo Santapaola.
Il lavoro incessante del sostituto procuratore Pacifico sul clan Cappello, uno dei più attivi nello spaccio di droga a Catania, ha portato a scardinare la struttura del gruppo, mettendo alla sbarra diversi presunti boss. In particolare l’operazione Revenge, condotta a più riprese dall’ottobre 2009 ad ora, ha portato all’arresto dei presunti esponenti più pericolosi del gruppo, tra cui Sebastiano Lo Giudice, e avrebbe sventato una guerra di mafia tra i Cappello e i Santapaola.
A scoprire il piano per eliminare il procuratore Pacifico è stata la Procura di Messina, in collaborazione con quella etnea. In mattinata il gip del Tribunale peloritano ha emesso un provvedimento, consegnato direttamente in carcere, nei confronti di Finocchiaro. Il clan Cappello di cui è membro fa parte della frangia dei “Carateddi”, che ultimamente é entrata in contrapposizione con un’altra ala del gruppo, quella degli Sciuto-Tigna. Quindi una faida interna all’interno di un quadro già contraddistinto da una forte contrapposizione tra i clan per il controllo del territorio. E proprio su questo si sono concentrate le indagini del sostituto procuratore Pacifico. Il magistrato non ha voluto commentare ulteriormente la vicenda che lo vede coinvolto e ha rilasciato questa battuta alle agenzie: «Quando decidi di fare il magistrato antimafia, metti nel conto anche queste cose. Io sono tranquillo, sereno e continuo a fare il mio lavoro».
A far scoprire agli inquirenti il piano per eliminare Pacifico sono state le rivelazioni di un ex collaboratore di giustizia. Giacomo Cosenza, infatti, era il destinatario dei pizzini ed era stato incaricato di uccidere il magistrato. «Sparagli tutti e 32 i colpi in testa, noi ti facciamo avere tutto». Questo avrebbe ordinato Finocchiaro a Cosenza: i messaggi gli venivano recapitati in carcere grazie a un detenuto comune che faceva da “postino”. Le perizie calligrafiche hanno inchiodato il boss, che intendeva, con un omicidio eccellente, ritornare in auge all’interno del suo gruppo, acquisendo una caratura criminale più elevata.
Lo conferma anche il procuratore di Messina Guido Lo Forte che ha spiegato: «Con questo attentato Finocchiaro voleva affermare il suo predominio all’interno del clan». Ancora una volta le rigide maglie del regime di carcere duro, secondo il procuratore capo di Catania Giovanni Salvo, hanno permesso di prevenire un attentato: «Il regime di 41bis ha funzionato perché si é riusciti ad intercettare i pizzini con i quali si impartivano le direttive. È proprio il meccanismo del 41bis a rendere difficili i rapporti con l’esterno». E così Catania si conferma città di frontiera e dai delicati equilibri criminali.