Sui marò serviva la politica, ecco perché i tecnici han fatto figuracce

Sui marò serviva la politica, ecco perché i tecnici han fatto figuracce

«L’Unione europea segue la questione da vicino fin dall’inizio. A seguito di una richiesta dell’Italia stiamo ora avviando una serie di contatti per trovare una soluzione a questa crisi il più presto possibile». Lo ha detto oggi una portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton parlando della vicenda dei due fucilieri di marina italiani in carcere in India. Correggendo poi una precedente dichiarazione, la portavoce ha aggiunto che la Commissione non ha mai considerato la questione come “bilaterale” ma che è intervenuta soltanto in seguito alla richiesta italiana. D’altra parte, come potrebbe essere “bilaterale” una vicenda come questa, avvenuta secondo l’Italia in acque internazionali e per di più avente come oggetto la lotta contro la pirateria, per la quale la Ue ha messo in campo, già quattro anni fa, l’operazione militare Atalanta per proteggere le navi dagli attacchi? Subito, vista da Roma, si pone però un’altra questione: com’è che un governo come questo, un governo che ha l’Europa nel suo dna, solo oggi si muove apertamente a livello comunitario per cercare di riportare a casa il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone? Com’è che si è lasciato spazio ad un redivivo Berlusconi che ha detto che ne parlerà con Putin dando l’impressione che una politica estera, giusta o sbagliata che fosse, lui ce l’avesse e Monti no? 

La risposta, purtroppo, è che è proprio così: Monti non ha una politica estera. Solo che non che è proprio colpa sua. L’uomo, a differenza del predecessore che, quando era a capo del governo, in India non ci hai messo piede nonostante il rango di potenza emergente, è dotato di una visione internazionale, sa che fuori c’è un mondo, sa come funziona e finora, proprio dall’estero, ha avuto le maggiori soddisfazioni in termini di riconoscimenti. Ma la politica estera è il luogo in cui i limiti di un governo tecnico vanno a infrangersi con la realtà perché, per decidere, necessita di un forte indirizzamento politico. Giulio Terzi è ritenuto un diplomatico abile e competente ma la diplomazia senza la politica è cieca, come la politica senza la diplomazia è vuota. In più New Delhi è una potenza emergente, mentre noi siamo sopravvissuti per un soffio dal cadere in un baratro che è ancora lì davanti a noi e da cui, con fatica, il governo sta cercando di farci allontonare. A questo va aggiunto un aspetto ammesso da tutte le fonti diplomatiche e politiche interpellate da Linkiesta: il caso è stato pesantemente sottovalutato. Sotto almeno tre punti di vista: a) quanto l’India voglia usare la vicenda per ottenere il tanto agognato seggio alle Nazioni Unite che le dia il riconoscimento di grande potenza globale b) quanto le elezioni in corso nel Paese siano il veicolo per liberarsi dal dominio della famiglia Gandhi, ora retta da un italiana che deve fare finta di non parlare più la nostra lingua per mostrare di essere indiana c) le commesse militari in corso.

Questo ultimo punto, quello delle commesse militari, lo abbiamo già analizzato qualche giorno fa e quindi in queste righe non ci torneremo, anche se è molto importante. Vediamo allora gli altri due, ma partendo da un presupposto. In molti fra i nostri diplomatici sono convinti che la vicenda abbia un carattere anti italiano. Citano esempi di altre navi straniere, nello specifico russe, coinvolte in incidenti simili al largo delle coste  indiane senza che nulla sia accaduto. Non è un dato, non ne abbiamo trovato traccia nel sito dell’International Maritime Bureau che monitora questi episodi, ma rende bene l’idea del clima (e in più i russi con i pirati hanno i loro metodi: li fanno saltare in aria con le loro navi e poi mettono i video in youtube, questo è il link). 

Il nodo del seggio permanente alle Nazioni Unite è citato come dirimente. L’India ha questo in testa e starebbe usando l’incidente per fare pesare il suo peso di potenza emergente. L’Italia avrebbe dovuto muoversi sin da subito per cercare di fornire un aiuto in questo senso magari facendo buon viso e cattivo gioco con gli americani che non sono così inclini a venire incontro a New Delhi. L’ambasciatore in India Giacomo Sanfelice di Monteforte ha subito avvisato il Dipartimento di Stato dell’accaduto ma non si è chiesto a Washington di fare di più sia per la questione del seggio sia perché si temeva che l’approccio da cow boy, che spesso contraddistingue la diplomazia Usa, potesse essere controproducente. Resta che il nodo del seggio Onu non è stato colto in tempo. Come dice una fonte: «Ti muovi in base a quello che pensi che sia il contesto». E questo punto non è stato trattato con tutto il peso con cui lo si sarebbe dovuto trattare.

La politica interna è sicuramente l’altro aspetto, non colto nella sua interezza. Sonia Gandhi è malata e il figlio Rahul, erede designato è debole. Così debole che questo 41enne che gira il paese in scarpe da ginnastica, nonostante abbia tenuto oltre 100 comizi in loco, è uscito a pezzi dalle elezioni nell’Uttar Pradesh, stato da 200 miioni di persone, il più grande dell’India, dove si votava ieri in una sorta di Super Martedì indiano che ha coinvolto altri 4 stati. E l’Uttar Pradesh è considerato, per via delle sue dimensioni, un barometro affidabile della politica nazionale. Qui il partito del Congresso, quello dei Gandhi, è passato solo da 22 a 28 seggi su 403, tanto che si pensa di giocare l’ultima carta e chiedere alla sorella Priyanka di prendere il suo posto come erede della dinastia. Il Financial Times oggi scrive che «il futuro del Partito del Congresso non è mai stato così incerto».

Arrivati a questo punto, quindi, nessuno si fa più illusioni. I due marò resteranno dentro ancora un po’, almeno fino a quando almeno alcuni dei punti sopraelencati non troveranno una risposta. Il coinvolgimento della Ashton e della Ue serve più che altro a Terzi e al governo a internazionalizzare la questione dopo gli attacchi della stampa italiana. Con Bruxelles, dicono alcune fonti, Roma avrebbe sondato tre diverse strade: una nota ufficiale, una telefonata della Ashton oppure quella che in gergo diplomatico è una “démarche”, vale a dire un contatto diretto tramite la delegazione Ue a Delhi. Ma l’efficacia del servizio diplomatico della Ue è scarsa e, con gli inglesi che vogliono che la diplomazia Ue non cresca fino a urtare il lavoro del loro Foreign Office (e in più con un inglese come la baronessa Ashton alla testa della diplomazia Ue), questo è sì un passo avanti, ma non di quelli che si possono reputare decisivi. Piuttosto vale la pena incominciare a dire all’India che se davvero vuole quel seggio alle Nazioni Unite è meglio che inizi a rispettare il diritto internazionale. Esattamente quello che, sempre con toni pacati ma fermi, ha detto oggi Monti nella telefonata a Manmohan Singh, l’economista con studi a Oxford che guida il governo indiano. D’altra parte già 50 anni fa Claude Lévi-Strauss scriveva che lo sviluppo del mondo moderno è nato proprio dall’India, che da lì ha iniziato a muoversi verso ovest, verso l’Europa e gli Usa, per poi tornare in Cina e da lì in India, dove tutto è nato. Peccato che Delhi abbia deciso di usare le vite di Massimiliano Latorre e di Salvatore Girone per fare capire che quel momento è arrivato. 

Twitter: @jacopobarigazzi

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