BRUXELLES – Mentre torna ad affacciarsi il nervosismo sul fronte del debito sovrano, la Commissione accelera su un fronte strettamente legato: un nuovo regolamento per affrontare il problema delle banche in difficoltà o già in fallimento, senza gravare sulle casse – per lo più ormai esauste – degli Stati. Invece del bail-out, insomma, la nuova parola d’ordine, praticamente intraducibile in italiano, è il bail-in. «Piuttosto che pesare sui contribuenti – sintetizza un documento diffuso dai servizi del commissario al Mercato Interno Michel Barnier il 31 marzo durante l’Ecofin informale a Copenaghen – è necessario un meccanismo che fermi il contagio ad altre banche e interrompa il possibile effetto domino. Esso dovrebbe consentire alle autorità pubbliche di accollare le perdite non gestibili sulle spalle degli azionisti e dei creditori». Il messaggio, insomma, è chiarissimo.
Della questione, a dire il vero, la Commissione si sta occupando dal 2010, a inizio 2011 ha proceduto a una consultazione pubblica, ma ora siamo, confermano a chi scrive fonti comunitarie, in dirittura d’arrivo con quella che la Commissione chiama una normativa «sulle risoluzioni bancarie». Se in un primo tempo c’erano in effetti alcune perplessità, adesso, dicono le fonti, «abbiamo trovato un clima favorevolissimo tra gli Stati membri». E non stupisce: la prospettiva di una nuova ondata di banche in crisi (prospettiva purtroppo non certo da escludere in Italia), terrorizza soprattutto stati come il nostro, o la Spagna, che non hanno certo la possibilità di provvedere con fondi pubblici a una massiccia operazione di bail-out (come si chiamano in gergo finanziario i salvataggi) per i propri istituti. Del resto, proprio i salvataggi delle banche hanno portato alla bancarotta l’Islanda o, quasi, l’Irlanda. Anche la Bce dimostra sostegno per l’iniziativa.
«Ci manca tuttora – ha detto Peter Praet, membro del board della Banca centrale – un quadro di gestione e risoluzione per le banche di importanza sistemica». E anche il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio ha sottolineato l’importanza di un sistema Ue di bail-in. Infine, l’idea di spostare su creditori e azionisti il peso di eventuali difficoltà o anche del fallimento di una banca è stata sposata anche dal Fsb (Financial Stability Board). Il tutto nel quadro degli impegni presi dai membri del G20 per “imparare la lezione” della catastrofe Lehman Brothers.
In soldoni, l’idea della Commissione è anzitutto di indicare una soglia, o delle soglie, che stabiliscono che un istituto è ad alto rischio fallimento. Il riferimento, sarebbe come sempre il capitale di alta qualità (il famoso Tier1). Alla Commissione dicono che tra le ipotesi figura quella di una prima soglia d’allarme intorno al 7,5% del capitale totale, e una intorno al 5% che faccia scattare la necessità di misure. «In questo modo – spiegano a Bruxelles – si potrebbe indicare anche agli investitori dei parametri cui orientarsi». A vigilare su tutto, però, sarebbero pubbliche autorità di vigilanza, e non solo nazionali. Anzi, a Bruxelles premono per un’autorità Ue, come ha detto anche Constancio in un discorso dello scorso novembre, in cui ha auspicato che le misure nazionali «siano quanto meno fortemente coordinate da un’autorità guida. O, facendo un passo avanti, la visione a lungo termine potrebbe essere quella di stabilire un’autorità sopranazionale», sul modello, ad esempio, dell’Autorità bancaria europea (Eba).
Quanto alle misure previste dalla Commissione, in sostanza, a voler semplificare si tratta di imporre o dei veri e propri haircut, delle perdite secche sulle azioni della banca (soprattutto in caso di vero fallimento), o di costringere i creditori a diventare azionisti, con la procedura chiamata in gergo debt to equity swap, e cioè trasformando il debito in azioni della banca, questo soprattutto se l’istituto in questione è ancora salvabile. «Questo strumentario – ha commentato il commissario Barnier – assicurerà che in futuro non siano i contribuenti a salvare le banche, e ridurrà l’azzardo morale prevalente nell’attuale sistema bancario». La Commissione vuole imporre alle banche una quantità minima di capitale che può essere soggetto al bail-in (è già nata l’impronunciabile espressione bailin-able), in modo da dare chiarezza fin dall’inizio agli investitori. Certamente inclusi nel meccanismo sarebbero titoli di debito a lungo termine, mentre, per via dell’alta volatilità, resterebbero fuori quelli a cortissimo termine, ad esempio a un mese.
La Commissione vuole presentare la sua proposta definitiva con tanto di bozza di direttiva al G20 di giugno. Poi, entro un anno dovrebbe essere completata la procedura di approvazione da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio Ue. L’obiettivo è che possa entrare in vigore a inizio 2014, coprendo naturalmente solo le nuove emissione di titoli bancari. L’agenzia di rating Fitch mette in guardia però che, vista la forte pressione in cui si trovano le banche e i nuovi pesanti requisiti di capitali imposti dall’Eba e dall’Accordo Basilea III, sarebbe meglio aspettare fino al 2019. Così tanto, però, a Bruxelles non vogliono aspettare.