Gli Stati Uniti guardano ormai al Pacifico e si aspettano che la Nato diventi sempre più autosufficiente. Mentre l’Asia per la prima volta quest’anno spenderà più dell’Europa in armamenti. E mentre Mosca sta modernizzando il proprio apparato militare proprio nel momento in cui si discute se l’Europa debba regalare Russia e Turchia all’Asia o se tenerle ancorate a sé in qualche modo, senza però farle entrare nell’Unione europea. E l’Italia? I tagli alla difesa decisi dal governo avvengono dopo le importanti scoperte di giacimenti in Mozambico da parte dell’Eni, interessi che il nostro Paese deve potere e sapere come tutelare. È il primo grande ritrovamento che proietta la politica estera italiana in una dimensione planetaria e il governo deve iniziare a ragionare su come proteggere questi enormi investimenti che l’Eni dovrà fare a circa 10 mila chilometri di distanza da qua. Roma dovrà quindi dotarsi di una Marina Militare in grado di intervenire localmente.
Non so se, come dicono alcuni, grazie a queste scoperte il Mozambico potrà diventare un nuovo Qatar, paese piccolo ma che grazie agli idrocarburi gioca un ruolo molto rilevante nello scacchiere mediorientale. So però che l’Italia non può essere il Costarica che dal 1948 ha fatto a meno dell’esercito e che però non ha un posizione geografica strategica, non ha una popolazione significativa e non è un’entità rilevante nel mondo. Tutto il contrario di noi, che alla strategicità della nostra posizione sommiamo anche una popolazione significativa. Abbiamo avuto e abbiamo un ruolo in Europa che non può consentirci di assumere degli atteggiamenti passivi. Insomma dobbiamo essere attivi e dobbiamo esserlo in un contesto europeo.
Tuttavia, come ricorda l’Economist, quando è finita la guerra fredda i paesi europei rappresentavano il 34% della spesa della Nato mentre ora siamo scesi al 21%. E, a parte gli Usa, solo quattro paesi su 28 hanno rispettato il target dell’Alleanza del 2% del Pil in spesa militare (Gran Bretagna, Francia, Grecia e Albania). Oggi il nostro Paese destina al settore solo lo 0,84%, in forte calo (ad esempio nel 2004 la spesa era dell’1,01%), mentre la media europea è dell’1,61%. Le spese militari italiane quindi non si devono tanto tagliare, quanto riqualificare. Dobbiamo sì ridurre il numero dei militari e migliorarne qualità e specializzazione, come sta facendo il governo che venerdì ha approvato il disegno di legge delega che prevede in dieci anni un taglio di 33mila militari e di 10mila civili, anche perché non si può più usare la spesa militare come ammortizzatore sociale. Ma dobbiamo anche essere ben sicuri di usare i risparmi fatti nella riduzione del personale per migliorare gli armamenti, marittimi, terrestri e aerei, quale è stata finora l’impostazione data dal Ministro della difesa e che mi auguro regga in Parlamento. Perché oggi, noi, non abbiamo una capacità di intervento autonoma anche minima e tuttavia ne abbiamo bisogno, almeno fino a quando non ci sarà un esercito europeo senza il quale non si può fare l’Europa.
Senza esercito europeo infatti non ci può essere una politica estera comune. Per questo spero anche che l’Inghilterra esca una buona volta dall’equivoco e decida se vuole fare il 51esimo stato Usa o se vuole fare l’Europa. La famosa battuta di Kissinger che quando doveva parlare con gli europei non sapeva che numero di telefono comporre, era rivolta soprattutto all’Italia e al compianto Aldo Moro, ma credo che da allora molte cose siano cambiate e gli americani abbiano dimostrato di sapere a chi telefonare anche nei momenti più difficili. Ma soprattutto credo, per restare dentro la metafora, che la crisi in corso porterà ad un numero unico a cui i nostri alleati possano rivolgersi. Solo che, così com’è, l’Europa è un gigante finanziario e anche culturale, ma è un nano sul fronte della diplomazia proprio per questa ragione, perché non ha un esercito. Bene quindi i tagli al personale, ma in questo quadro e in questo scenario sarebbe una follia non destinare i risparmi ottenuti ad una riqualificazione della spesa militare, per altro creatrice di migliaia di posti di lavoro ad alta qualificazione.
Guido Roberto Vitale