Benedetto XVI, la forza mite che sta cambiando la Chiesa

Benedetto XVI, la forza mite che sta cambiando la Chiesa

L’uomo che oggi compie 85 anni (e tra tre giorni il settimo anno dall’elezione al soglio di Pietro) è tutt’altro che vecchio. La lucidità intellettuale è completa, come la capacità di lavoro e persino la disponibilità ai viaggi faticosi in giro per il mondo: come se il timido professore bavarese, che già da tempo aspirava al ritiro nella quiete degli studi, avesse trovato nuova linfa e nuova energia nel ruolo di Vicario di Cristo. Allora, si era ancora nell’altro millennio: lo fermò il suo predecessore che gli ordinò di restare alla guida dell’ex Santo Uffizio e poi arrivò il Conclave.

«L’operaio nella vigna del Signore» (come si definì all’ingresso nel pontificato) ha dovuto affrontare tempeste, polemiche, attacchi dentro e fuori la Chiesa e soprattutto il confronto con papa Wojtyla che, con la sua straripante vitalità, aveva segnato la storia nei suoi 27 anni di regno. Joseph Ratzinger che dell’«atleta di Dio» era stato non solo il principale custode della fede ma il fine teologo ispiratore, si presentò e si presenta per quello che è: e a suo modo ha già dato un’impronta forse altrettanto incisiva alla vita della Chiesa e al suo rapporto con il mondo.

In particolare, ha scelto di impostare la sua missione nel ricostruire un rapporto possibile tra fede e ragione, cercando di persuadere l’uomo contemporaneo di poter vivere «come se Dio ci fosse…». Di qui la incessante produzione di testi filosofici nella ricerca di un dialogo costruttivo con il vastissimo mondo degli «indifferenti», più diffuso e meno disponibile del più contenuto filone dell’ateismo dichiarato.

Perché la scommessa che la Chiesa e il suo Capo devono affrontare è quella del cosiddetto «relativismo» ormai imperante nella società occidentale: infatti se «tutto è relativo» (come anche la scienza sembra voler affermare), allora diventa del tutto vano proclamare l’esistenza dell’«assoluto» , ovvero la presenza di Dio e la sua rivelazione attraverso il cristianesimo. È forse la sfida più totale che deve affrontare l’unica istituzione terrena che ha attraversato venti secoli e si è sempre nella storia riuscita a rigenerare.

Forse Benedetto XV è l’uomo di Chiesa che ne è stato e ne è il più consapevole. Ed è su questa frontiera che ha deciso di impostare la presenza e la continuità del messaggio cristiano. Partendo proprio dall’Europa e dall’Occidente, dove la «morte di Dio» si è ormai fatta più strada. Come se (anche se non lo ha mai pubblicamente ammesso) dovesse ripetersi la vicenda dei «fratelli maggiori» ebrei, i quali, primi per elezione della rivelazione di Dio, non furono più in grado di riconoscerlo quando si manifestò nuovamente. E cioè che i primi a incontrare e a conoscere il Cristo (la Roma imperiale e da qui tutta l’Europa) fossero oggi anche i più determinati ad abbandonarlo.

Di qui la scelta di dar vita ad un organismo specifico per la ri-evangelizzazione delle terre cristiane ( accompagnato dal “Cortile dei Gentili”, per dialogare con i non credenti), mettendo comunque nel conto (secondo la parabola del Buon Pastore) che le pecore sono e saranno disperse, come appunto sta avvenendo in molte parti dell’Europa. E che il futuro sta nel coltivare e tener vivo e coerente un «piccolo gregge» di fedeli che assicurino la trasmissione del messaggio e poi la ripresa espansiva, secondo i disegni misteriosi di un Dio nel quale ci si ostina a credere.

Si spiega probabilmente così la ragione più profonda del suo «conservatorismo»: da ultimo superstite del Concilio Vaticano II (dove si era trovato ad essere il più giovane degli esperti) ne cura l’applicazione più ortodossa, resistendo alle spinte di modernizzazione che arrivano da molti movimenti anche interni alla cattolicità, in particolare austro-tedesca. Così pure il progressivo recupero di alcuni aspetti della tradizione a suo avviso troppo frettolosamente abbandonati, in particolare nella liturgia ufficiale (come la possibilità della messa in latino, oppure il richiamo recentissimo alla dimensione dell’inginocchiarsi, anche per ricevere la Comunione).

Piccoli segni forse (ogni volta però motivati con la logica da professore) che tuttavia si inseriscono in un tentativo almeno parziale di ritorno alle origini del Cristianesimo, perché la Chiesa (e non solo il mondo) è fiaccata dalla sua “sporcizia” interiore. In questo senso la maggior trasparenza sulle finanze, la rivoluzione portata ai vertici dei Legionari di Cristo (dopo che sono emerse le porcherie del fondatore Maciel) e il deciso intervento nello scandalo della pedofilia del clero si sono scontrate e si scontrano tutt’ora con le incrostazioni sedimentate nella struttura vaticana ed ecclesiale nel corso dei decenni. La questione della pedofilia in particolare ha a tal punto vulnerato l’immagine della Chiesa, soprattutto nei Paesi anglosassoni, da costringere più volte il Papa a ripetuti interventi disciplinari peraltro non ancora conclusi.

Molte altre sono state in questi anni le occasioni di polemica generale con il Vaticano: e spesso Benedetto XV si è trovato in difficoltà (anche per colpa dei suoi improvvidi collaboratori, come nel rapporto complicato e nell’eventuale ricucitura con i lefebvriani): eppure anche dalle vicende più controverse Ratzinger alla lunga è emerso sempre con una sua credibilità sempre ricostituita, anche perché non è mai rifuggito dall’affrontare i problemi anche più scottanti, fornendo comunque la risposta sua e dell’istituzione che si trova a governare. E quindi, anche in forza di una elevata qualità intellettuale che nessuno riesce a negare, ha sempre trasmesso un’autorevolezza spirituale in grado di comunicare con tutta l’umanità.

Per paradosso, mentre concentra la sua azione nel mondo occidentale sempre più scristianizzato, l’impatto di questo Papa è fortissimo negli altri continenti e nelle altre religioni: il cauto ravvicinamento con gli ortodossi, il rapporto con gli ebrei e perfino il rispetto degli islamici che pure nei loro paesi non si astengono dalla persecuzione verso i cristiani. Sono ponti gettati che forse daranno frutto in un futuro ancora lontano. Mentre in realtà all’interno del cattolicesimo più impegnato le avanguardie religiose non hanno smesso di guardarlo con sospetto, anche se l’ostilità iniziale sembra essersi a poco poco stemperata.

C’è un elemento in realtà che finisce per apparire incomprensibile alle stesse forze laiche più ostili e ai cristiani più ferocemente critici del suo magistero: il legame misterioso ed emozionale che a sorpresa lo avvicina ai giovani. In termini quantitativi, l’afflusso di pellegrini all’incontro con il Pontefice (sia a Roma che nelle altre occasioni in giro per il pianeta) è ben più alto delle presenze con papa Wojtyla, allora attirate dal suo fascino carismatico.

Papa Ratzinger, nel suo tono semplice e nella sua cattedra apostolica, riesce a farsi ascoltare e stranamente a comunicare con le generazioni che si vanno affacciando alla scena pubblica. Un rapporto forse più discreto ma più intenso e solido che stupisce sempre gli osservatori meno complici e più disincantati: come se in questo saggio maestro, minuto e fragile, si trovasse la prova di potersi fidare…  

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