Portineria MilanoBossi ce l’ha duro: «Finché vivo sarò il Capo della Lega Nord»

Bossi ce l'ha duro: «Finché vivo sarò il Capo della Lega Nord»

«Finchè vivo sarò il capo della Lega Nord». Umberto Bossi non indietreggia di un millimetro di fronte alle voci che darebbero per imminenti le sue dimissioni da segretario federale e leader del Carroccio. E in queste ore concitate per il movimento di via Bellerio, travolto dagli scandali giudiziari e alla vigilia di un consiglio federale alla “Mezzogiorno di fuoco”, va ripetendo a chi lo incontra quello che disse tempo fa pure ai militanti del Tigullio. Già allora i leghisti liguri gli chiedevano la testa del tesoriere Francesco Belsito, ma il Capo, oltre a respingere la richiesta, rispose: «Voglio ancora stare tra voi. Ci sono abituato, non me ne vado. Lascerò solo quando morirò».

Eppure i padani della Liguria, l’estate scorsa, gli avevano portato le carte. Gli avevano mostrato di cosa era stato capace Belsito, che gli aveva fatto la guerra, lasciandoli pane acqua con le bollette e l’affitto della sezione ancora da pagare. Glielo avevano ripetuto in tutti i modi che non doveva fidarsi. Che circondarsi di persone di questo tipo avrebbe portato il movimento allo «sfascio». Ma anche allora il Senatùr fece orecchie da mercante. «Addirittura! Non ci credo», rispose a chi gli mostrava gli «azzardati» movimenti finanziari del tesoriere, indagato adesso da tre procure differenti, Reggio Calabria, Napoli e Milano: ironia della sorte l’Italia intera riunita proprio dal Carroccio secessionista. «E uscirà altro ancora. C’è da avere paura», ci conferma una fonte che chiede l’anonimato.

In Liguria, ma anche in Veneto, in Lombardia e in Piemonte, adesso confidano nell’ex capo del Viminale Roberto Maroni. «Solo lui può fare pulizia. Deve prendere in mano il partito. Per Bossi è il momento di mettersi da parte. Noi glielo abbiamo detto: «Umberto hai dato il sangue, ti vogliamo bene, ora stattene un po’ a casa». Ma il Capo, anche allora, disse di no. E in queste ore lo continua a ripetere. Non ascolta neppure le bordate che il trevigiano Leonardo Muraro gli ha rifilato in giornata dicendo. «Maroni prenda in mano il partito fino al congresso». O quelle dello sceriffo Giancarlo Gentilini che vorrebbe persino tagliargli le mani se saltasse fuori un suo coinvolgimento.

Bossi vuole continuare a traghettare la sua creatura, forse fino al baratro. Quella Lega Nord nata a metà degli anni ’80, un piccolo partito con pochi soldi in cassa, diventato trent’anni dopo una gallina dalle uova d’oro grazie ai rimborsi elettorali, è la sua casa. Più di quella di Gemonio. Ma la resistenza del Senatùr a restare in sella cosa potrebbe comportare per tutta la Lega? Davvero una fine ingloriosa come quella di Bettino Craxi e del Psi durante Tangentopoli? Oppure più semplicemente una divisione in due leghe come quella che inizia a delinearsi in Veneto?

Di questa incertezza si discute in queste ore tra i militanti e nelle sezioni padane. A Gemonio, quartier generale del cerchio magico, Rosi Mauro e la moglie di Bossi Manuela Marrone ragionano su come affrontare le prossime giornate. La moglie del Capo ha già incontrato Bobo nelle scorse settimane. Come ha scritto il settimanale Diva & Donna i due hanno avuto un lungo colloquio, dove la Marrone avrebbe trattato la resa  cercando rassicurazioni sul futuro di Renzo Bossi detto il Trota, consigliere regionale in Lombardia.

Del resto, proprio intorno a queste due donne si stanno muovendo le procure, da un lato sul fronte famigliare e dall’altro su quello del Sinpa, il sindacato padano. Indiscrezioni del palazzo di Giustizia parlano di un allargamento dell’inchiesta. E se dovessero scattare altre indagini con nuovi indagati? È questo il vero timore del Senatùr. Tanto che qualcuno, nel suo stretto giro di confidenti, gli avrebbe perfino consigliato di mettersi da parte prima che la giustizia lo travolga tutta la sua famiglia. 

In alternativa la battaglia si giocherà ai congressi. Domani è in cartello un consiglio dove si dovrà nominare un nuovo tesoriere e stabilire le date per i congressi provinciali che dovranno poi eleggere i delegati per il federale. «Vogliamo certezza, vogliamo siano messe in cartello», spiega un maroniano che confida come tra i papabili per la tesoreria ci sia Bruno Caparini, consigliere della municipalizzata A2a, vecchio amico di Bossi e padrone dell’Hotel Mirella. Potrebbe essere lui la figura «terzista», capace di mettere i conti in ordine e riappacificare le anime di cerchio magico e barbari sognanti. Altri nomi pure il senatore Massimo Garavaglia o Stefano Stefani.

Ma conti a parte, su cui già i magistrati hanno il loro bel da fare, la questione centrale resta l’assise. Il congresso federale non si celebra dal 2002. Secondo statuto andrebbe organizzato ogni tre anni. Prima dovranno essere chiusi i congressi nazionali (regionali ndr) in Lombardia e Veneto. Poi verranno scelti i delegati. Quindi se tutto dovesse andare nel verso giusto, in settembre, la segreteria di Bossi sarà messa i voti. Vorrà il Capo padano vedere quanto conta ancora? Oppure porterà la sua creatura nel baratro? 

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