È dagli anni Ottanta che le scissioni e le nascite di partiti in Germania avvengono a sinistra del centro, e a volte anche più a sinistra del partito socialdemocratico, l’Spd. Negli anni Ottanta furono i Verdi. Con la riunificazione poi, fu la volta della Pds, il successore del partito unico (Sed) della Germania Democratica, il quale, in tempi più recenti si ribattezzò Linke (Sinistra), anche grazie a Oskar Lafontaine, uno dei leader storici dei socialdemocratici, andatosene sbattendo la porta: la politica del suo ex amico, il cancelliere Gerhard Schröder, gli pareva troppo neoliberista.
Ora è la volta del partito dei Piraten. Una formazione nata sul web, su esempio del partito svedese, che si definisce liberale di sinistra. Dallo scorso settembre, quando entrò per la prima volta in un parlamento regionale, cioè il Senato di Berlino, ha sostenuto anche leggi e riforme di tipo più conservatrici, varate dalla grande coalizione che governa la capitale. E ancora si sono espressi a favore del patto fiscale europeo, la ratificazione del nuovo meccanismo di stabilità europeo (Esm), e in generale con la politica di salvataggio dell’euro perseguita dalla cancelliera Merkel. Ma anche se indubbiamente flessibili, certo non lo si può collocare alla destra del centro. Basta elencare alcuni dei loro cavalli di battaglia, oltre a quelli incentrati sul web (totale abolizione delle barriere, divieto di raccolta di dati e via dicendo). I Piraten, concretamente, chiedono: uno stipendio minimo garantita per tutti; trasporti pubblici cittadini gratuiti; l’abolizione delle barriere di ingresso per gli stranieri in cerca di lavoro. Quali siano invece le reali chance di questo partito a trasformarsi da meteora in una formazione strutturata è troppo presto per dirlo.
Per questo risulta più interessante porsi un’altra domanda, e cioè perché nel Parlamento federale, il Bundestag, alla destra della Cdu, o meglio dell’Unione, che comprende anche i bavaresi della Csu, non nasce nulla? Eppure nel resto dell’Europa i partiti populisti di centro destra hanno grande successo: dalla Danimarca all’Olanda, dal Belgio alla Francia, e ancora in Svizzera, Austria, Repubblica Ceca, Polonia e Italia. Fu il potente capo dei cristianosociali (Csu) nonché governatore della Baviera, Franz Josef Strauß a dire una volta, che alla destra della Csu non c’era spazio per nessun’altra formazione. A dire il vero, durante il suo regno (guidò il partito dal 1961 fino alla sua improvvisa morte nel 1988) la Csu, soddisfava, per lo meno tra la popolazione bavarese, una certa sete populista. Ma a parte questa annotazione, è vero che fino a oggi, nel Bundestag, quel muro non è stato abbattuto (partiti come quello di estrema destra, l’Ndp, non ci sono). Eppure, come fanno notare diversi politologi, non è che in Germania non esista un potenziale di elettori per un partito di questo stampo. Almeno tenendo conto di certe reazioni.
Quando l’ex ministro delle Finanze del Senato di Berlino, e membro della Bundesbank, la banca centrale, Thilo Sarrazin uscì con il suo libro nel quale attaccava una certa classe di immigrati, in particolare musulmani, fu applaudito da una considerevole fetta dell’opinione pubblica (tra cui anche esponenti del ceto medio alto). Anche l’ex presidente della confindustria tedesca, Hans Olaf Henkel, con i suoi duri attacchi alla Grecia, il suo appello a tornare al marco tedesco, può contare su un seguito di tutto rispetto. Ciò nonostante il più recente esperimento di dare vita a una formazione di centrodestra, la “Freiheit” (Libertà), sostenuta apertamente dall’olandese Geert Wilders, venuto appositamente a Berlino, si può, dopo soli due anni, ritenere concluso. E lo stesso vale per altri tentativi di carattere regionale: la “Pro-Bewegung” (il Movimento a favore) del Nordrhein-Westfalen, sostenuta dall’austriaca Fpö (il partito guidato a suo tempo da Jörg Haider), così come il movimento “Bürger in Wut” (Cittadini furibondi). Questi fallimenti, non hanno però ridotto frustrazioni, paure che si coagulano attorno ai temi di attualità: islam, politica di immigrazione, salvataggio dell’euro.
Certo, c’è quel tabù che la storia ha eretto come un “firewall”, termine tanto usato oggigiorno in altri contesti: un frangi fiamme che deve impedire il ripetersi di errori drammatici. Ma la paura non basta certo a cancellare frustrazioni e rimostranze, le rende semplicemente latenti e prima o poi abbatte il tabù. Proprio per questo alcuni politologi non si chiedono più se, ma quando un partito populista di centro destra riuscirà a fare veramente breccia nel panorama politico tedesco. E a leggere le varie analisi si trova un importante punto di convergenza: e cioè, che sarà l’esito elettorale delle prossime politiche nel settembre del 2013, a fare da spartiacque. Sicuramente se Merkel dovesse perdere, ma anche se dovesse, cosa assai più probabile, essere costretta a cercarsi un nuovo partner di coalizione. In quel caso molti dei conservatori ortodossi della Cdu potrebbero andarsene e fondare un nuovo partito basato sui valori di un tempo: famiglia, patria e religione.
Negli ultimi anni proprio da quest’ala radicale, si sono levate critiche sempre più severe nei confronti di Merkel, per quanto, come scrive il politologo Ulrich von Alemann, la Cdu, a ben vedere, più che un partito conservatore, è sempre stato un partito di potere, da Konrad Adenauer in poi. Come detto, un ruolo non secondario lo giocherà poi il partito liberale, Fdp, ormai ridotto a un lumicino. Perché se i liberali non solo non saranno più un possibile partner di coalizione, ma addirittura non riusciranno a superare la soglia di sbarramento del 5 per cento, uscendo dunque dal Bundestag, allora alla destra del centro ci sarebbe solo più la Cdu. Ma è difficile credere che questa asimmetria possa diventare strutturale.